The Last of Us, la recensione della seconda stagione su Sky

The Last of Us recensione della seconda stagione

La seconda stagione di The Last of Us (trailer) rappresenta un passo deciso e ambizioso nel percorso di adattamento televisivo della celebre saga videoludica di Naughty Dog. Dopo un debutto che aveva immediatamente conquistato pubblico e critica, portando sul piccolo schermo le atmosfere post-apocalittiche, i personaggi complessi e le tematiche profonde del videogioco, questa nuova tranche di episodi si propone di approfondire ulteriormente i conflitti interiori e le contraddizioni umane, elevando l’asticella qualitativa e narrativa.

Se la prima stagione era stata percepita come un’operazione fedele, ma a tratti troppo conservativa, questa seconda parte si dimostra più coraggiosa e più matura, puntando a una narrazione più articolata, ricca di digressioni e di interpretazioni attoriali di altissimo livello. La scelta di non coprire integralmente il materiale di The Last of Us Parte II si rivela, in effetti, una mossa vincente: permette di dilatare i tempi e di approfondire le relazioni tra i personaggi, offrendo così un racconto più contemplativo e meno pedissequamente legato alla fedeltà videoludica.

Nei sette episodi che compongono questa stagione, la regia si distingue per un maggior dinamismo e per una cura più ricercata nelle inquadrature, anche se non mancano alcune cadute nel manierismo stilistico. La fotografia, il montaggio e gli effetti visivi contribuiscono a creare ambientazioni credibili e coinvolgenti, tra scenari urbani decadenti, paesaggi desolati e interni claustrofobici, sottolineando con efficacia il senso di smarrimento e di speranza che pervade i personaggi. Tuttavia, è nelle sequenze d’azione che la serie brilla di più: i combattimenti corali, i momenti di tensione e le scene di inseguimento sono girati con un ritmo serrato e una cinepresa più fluida e audace rispetto alla prima stagione, dando vita a momenti di grande impatto sia visivo che emotivo. La stessa colonna sonora, sebbene meno presente rispetto alla prima stagione, accompagna con efficacia i momenti chiave, rafforzando l’impatto emotivo senza mai risultare invadente.

The Last of Us recensione della seconda stagione

Sul fronte della scrittura, Neil Druckmann e Craig Mazin si confermano maestri nel trovare il giusto equilibrio tra azione e introspezione. La sceneggiatura si muove con maestria tra flashback e narrazione presente, permettendo di esplorare le motivazioni e le ferite di ogni personaggio, spesso attraverso dialoghi intensi e silenzi eloquenti. La presenza di personaggi nuovi, come quello complesso e controverso di Abby (Kaitlyn Dever), e di volti già noti, come Ellie (Bella Ramsey) e Joel (Pedro Pascal), arricchisce il quadro emotivo e morale della serie, grazie anche alle incredibili performance attoriali. Dever, in particolare, si distingue per un’interpretazione molto più sfaccettata rispetto al personaggio del videogioco, riuscendo a trasmettere tutta la sofferenza e l’ambiguità di Abby, personaggio che, grazie anche a una regia attenta e a una scrittura raffinata, si rivela al contempo vittima e carnefice, portando lo spettatore a riflettere sulle sfumature morali dell’umanità in guerra. Ma anche Pascal e Ramsey non sono da meno.

Il primo, ancora più vulnerabile e consumato dal senso di colpa, trasmette con pochi gesti un Joel profondamente segnato dalle proprie scelte e dai rimpianti, mentre la seconda riesce a catturare ogni sfumatura del personaggio di Ellie: dalla candida innocenza dell’adolescente alla rabbia e alla determinazione dell’adulta in lotta con il proprio passato. Inoltre, il suo rapporto con Dina (Isabela Merced) si rivela essere uno dei fili conduttori più toccanti e autentici della stagione. L’ensemble di attori, nel complesso, regge il peso di un racconto spesso doloroso e complesso, e riesce a portare in scena una gamma di emozioni che vanno dalla rabbia alla tenerezza, dalla disperazione alla speranza.

Nonostante i numerosi aspetti positivi, la stagione non è priva di difetti. La regia, sebbene più audace, talvolta si rivela ancora troppo scolastica, con inquadrature spesso statiche e poca sperimentazione visiva. Inoltre, ci sono alcune puntate che, per il ritmo troppo lento e le scene di transizione un po’ troppo lunghe, rischiano di perdere mordente, sacrificando la tensione narrativa in favore di un’analisi più approfondita dei personaggi. Questo approccio, se da un lato arricchisce il racconto, dall’altro può rischiare di diluire l’impatto emotivo e di spezzare l’unità narrativa che il videogioco, con la sua forte immediatezza, riusciva a mantenere in modo più efficace. Infatti, la scelta di non riprodurre pedissequamente tutte le sequenze del videogioco, sebbene abbia i suoi pregi, comporta anche alcune perdite: la sensazione di immersività e di immedesimazione, molto forte nel gioco, si attenua leggermente nella serie, che si affida più a dialoghi e scene simboliche che a momenti di pura azione o suspense visiva.

In conclusione, The Last of Us, con la sua seconda stagione, si riconferma come un prodotto di altissima qualità, capace di coinvolgere tanto i fan della saga videoludica quanto il pubblico generalista. Se la prima stagione aveva saputo catturare il pubblico con la sua fedeltà all’universo narrativo originale e il suo calore emotivo, questa seconda parte dimostra che la serie può andare oltre, esplorando le zone più oscure e complesse dell’animo umano con coraggio e raffinatezza. È un’opera che, pur dividendo e ferendo, invita a una riflessione profonda sulla natura umana, e si può dire senza dubbio che ha scritto un nuovo capitolo nel modo di adattare i videogiochi al grande schermo.

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