The Sinner, la recensione della seconda stagione su Netflix

La rete televisiva via cavo Usa Network, incline a una programmazione di tipo generalista, decide nel 2017 di realizzare la serie tv The Sinner, basata sull’omonimo romanzo della scrittrice tedesca Petra Hammesfahr. Il progetto iniziale mirava a intrattenere gli spettatori americani durante le vacanze, ma il risultato finale andò di gran lunga oltre le aspettative, conquistando pubblico e critica e ottenendo anche candidature agli Emmy Award e ai Golden Globe. Da qui Usa Network decide di dare nuova vita a questa, di fatto, unica stagione autoconclusiva, che diventa a tutti gli effetti una narrazione antologica: gli otto episodi di The Sinner 2 (trailer) prevedono un cast rinnovato e una vicenda inedita, anche se in parte viene confermata la struttura narrativa e lo stile.

Una famiglia formata da madre, padre e il tredicenne Julian (Elisha Henig) sono in viaggio verso le cascate del Niagara. Durante la sosta il piccolo uccide i genitori mediante un tè preparato con una particolare pianta velenosa. Come nella prima stagione ci troviamo davanti a una morte aberrante, Julian sa di essere colpevole e il detective Harry Ambrose (interpretato da Bill Pullman e già presente nella prima stagione) indaga sul passato del bambino.

The Sinner

Anche in questa seconda stagione è tangibile la volontà dello showrunner Derek Simonds di sottoporre il genere crime a un’originale mutazione, infatti se solitamente la struttura narrativa è improntata intorno alla ricerca del colpevole, The Sinner decide di cambiare marcia mostrando allo spettatore il vero colpevole già nella prima puntata. Quello che si cerca di indagare non è “chi ha ucciso”, a tutti palese, ma “perché ha ucciso”. Mentre la prima stagione si concentra sul caso di Cora Tannetti (interpretata da Jessica Biel che in questa stagione ricopre il ruolo di produttore esecutivo), la seconda si concentra su un pre-adolescente, andando a creare un maggior senso di sconvolgimento nello spettatore.

Nella serie vediamo in modo sempre più esplicito l’intenzione dell’indagine di allargarsi: le linee narrative sono molteplici. Oltre a Julian abbiamo Harry, Vera Walker (interpretata da Carrie Coon), Heather e Jack, ma tutti in un certo senso possono essere collegati da un filo conduttore: la piccola cittadina di Keller, nella quale si trova la setta di Mosswood. I personaggi adulti sono di fatto divorati da colpe che li legano a una realtà che hanno prima accettato con acquiescenza poi con falsa soddisfazione. Una volta tolta la confortevole “coperta di Linus”, i personaggi si troveranno davanti alla dura realtà, alle scelte compiute e per ultimo, ma non per importanza, davanti alle loro colpe. L’ossatura della serie è il sostentamento continuo delle menzogne che mantengono intatti i segreti per tutta la durata della stagione, la verità diventa un taboo e gli inganni, a cui è stato sottoposto il piccolo Julian, diventano la colonna portante per la creazione dell’ibrido “vittima-carnefice”. Inoltre, viene sottolineata come la vera condanna è quella che ognuno impone a se stesso e che la verità diventa parziale e relativa.

Nonostante presenti delle forzature, la serie risulta nel complesso fluida: viene analizzata a fondo la psicologia dei personaggi principali, i flahsback vengono usati sapientemente e l’idea che lo spettatore si fa dei personaggi non è mai statica. Chi vede la serie partecipa al divenire di un prodotto originale entrando dentro al passato e alla mente di questo universo narrativo che, nonostante il parziale successo, può contare su una ottima struttura

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