The Haunting of Hill House, la recensione della serie su Netflix

The Haunting of Hill House

The Haunting è una serie televisiva antologica horror/drammatica creata e diretta da Mike Flanagan per Netflix. Ogni stagione è tratta da un romanzo horror differente. Le riprese della seconda stagione sono attualmente in corso ma è sulla prima che ci soffermeremo oggi.

La prima stagione (trailer) è tratta da L’incubo di Hill House, il romanzo più celebre della scrittrice statunitense Shirley Jackson, seppur la storia originale appaia ben diversa nella serie, senza però tradire quelle che sono le fondamenta dell’opera di partenza. La serie racconta la storia di cinque fratelli, vittime di aver trascorso un’intera estate in quella che sarebbe diventata poi la casa infestata più famosa del paese. In un’alternanza continua fra presente e passato, questa famiglia spezzata sarà costretta ad affrontare i propri “fantasmi”, spesso lasciati indietro o dimenticati, nel vano tentativo di gettarsi tutto alle spalle e ricostruirsi una vita nuova, priva della costante paranormale che sembra seguire i cinque ragazzi. A leggerla così sembrerebbe la tipica storia di fantasmi che tutti conosciamo, eppure The Haunting of Hill House riesce a distaccarsi da tutti i cliché del genere. Cosa presenta di innovativo questa serie? Cos’è che la contraddistingue?

Hill House riesce ad innestare un dubbio nello spettatore, i fantasmi presentati in questa serie non sono le tipiche anime dannate a cui siamo abituati, Mike Flanagan ci offre una visione nuova dell’idea del paranormale. I fantasmi altro non sono che la testimonianza del nostro vissuto, la rappresentazione di quello che è stato il nostro percorso e del punto in cui ci hanno portato le nostre scelte. I fantasmi sono una manifestazione, una personificazione mentale dei nostri ricordi, le nostre paure, i nostri rancori, ma soprattutto i nostri desideri. Siamo noi stessi la presenza spettrale della nostra vita e di quella delle persone che ci circondano. “Sei tu il fantasma.” E proprio come i protagonisti siamo chiamati ad affrontare gli spiriti che noi stessi abbiamo finito col creare, fuggendo dai nostri problemi, ignorando la cruda realtà, rifugiandoci in delle comode bugie o innalzando dei muri che come la serie stessa racconta, “non funzionano mai”.

Su Netflix: The Haunting of Hill House

Hill House si presenta come un ottimo connubio tra l’horror classico ed il contemporaneo, con un’impostazione quasi teatrale ed un lavoro sulla scenografia, sulla fotografia quasi rari nel genere (un intero episodio costituito da due soli piani sequenza, seppur artefatti, così come le molteplici le scene all’interno della casa con inquietanti figure sullo sfondo intente ad osservare i protagonisti, facilmente ignorabili a prima vista) accendendo una piccola luce di speranza che qualcosa di davvero bello da raccontare ancora ci sia, in un periodo storico in cui si tende a privilegiare il sussulto momentaneo dato dal jumpscare piuttosto che una narrazione avvincente. Nel costruire l’immersiva atmosfera della serie un ruolo chiave l’ha giocato la colonna sonora, realizzata dai The Newton Brothers, che si presenta come un piacevole incontro fra malinconia ed inquietudine, che sono un po’ le due strade su cui si divide la serie.

La seconda stagione, che vede il ritorno di Flanagan e parte del cast, sarà invece intitolata The Haunting of Bly Manor, stavolta liberamente ispirata al romanzo Il giro di vite (The Turn of the Screw) di Henry James. Anche se non ce n’è data conferma, è probabile che originariamente Hill House fosse stata concepita come una miniserie, costituita da un’unica stagione ben architettata per aprire e chiudere la storia in dieci episodi. Il discreto successo riscontrato però ha poi portato a rinnovare la serie rendendola antologica.

Non ci resta che attendere, ma con il ritorno di Mike Flanagan alla regia non possiamo che confidare in una seconda stagione altrettanto degna, sperando che gli elementi che qui ci hanno tanto sorpreso non appaiano poi ridondanti se ripescati in futuro.

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