The Haunting of Bly Manor, la recensione della serie su Netflix

La produzione antologica originale Netflix The Haunting, dopo il successo di Hill House, torna con nuovi episodi raccolti sotto il nome di The Haunting of Bly Manor (trailer), e liberamente ispirati al racconto di Henry James Il giro di vite. Naturalmente, come in Hill House, il tutto viene diretto e coordinato dall’ormai celebre del genere horror Mike Flanagan.

Siamo nell’Inghilterra del 1980 e una giovane istitutrice di origini americane, Dani (Victoria Pedretti), viene assunta da un ricco avvocato per occuparsi dei suoi nipoti, Miles e Flora, rimasti orfani da poco, che
vivono in una grande dimora nella campagna inglese: Bly Manor. Nella lussuosa villa però vivono anche presenze inquietanti, che Dani e lo spettatore impareranno a conoscere. Nonostante la trama tratti in primo luogo delle vicende dell’istitutrice, arrivata in Inghilterra con lo scopo di dare una svolta alla sua vita, non possiamo sottovalutare l’importanza degli altri personaggi -Miles e Flora, Owen, Hannah e Jamie- le cui linee narrative si vanno ad intrecciare a quella dell’istitutrice.

Importante è la volontà di Flanagan di voler creare un racconto corale incentrato su una famiglia, che a differenza di Hill House, è formata da sconosciuti: questo proprio a voler esprimere un modello anticlassico
della famiglia, non formata da legami di sangue quanto piuttosto da individui che hanno la capacità di accompagnarsi a vicenda nei momenti più complicati e intrigati del percorso, a volte rischiando anche la
propria vita. La forza dell’intero racconto risiede nel fatto che la casa infestata da fantasmi non è un semplice luogo, bensì un vero e proprio personaggio. La casa diventa un essere vivente, che si fa portavoce della psiche dei personaggi in essa intrappolati. L’orrore messo in scena da Flanagan non è altro che una manifestazione di quello che accade nell’inconscio dei personaggi.

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Mike Flanagan riesce a centrare tutti quei concetti e quelle ossessioni che vanno a considerare l’horror come un terreno fertile per parlare della psiche dei personaggi in maniera non scontata e implicita, utilizzando la
metafora dell’orrore per rappresentare la follia, l’isolamento e i traumi che attraversano i personaggi stessi. Nonostante segua pedissequamente la cifra stilistica narrativa de Il giro di vite, la serie va a cancellare completamente la componente dell’ambiguità, ciò che di fatto ha reso il romanzo un classico. Questo elemento mancante sicuramente fa scemare l’interesse dello spettatore nei confronti dell’istitutrice, che invece di svilupparsi in un personaggio più complesso, rimane fino alla fine confinata nel ruolo della “buona”: una persona trasparente, che si porta dietro considerevoli traumi e dolori, allo stesso tempo però priva di fascino, ambiguità e sfumature che avrebbero reso la trama più accattivante.

Il problema di The Haunting of Bly Manor è la mancanza di coerenza; la prima parte risulta impeccabile e riesce a delineare un centrato racconto dell’orrore, puntando su una forte estetica e su un’ambientazione congruente. La storia prosegue con la conoscenza di tutti i personaggi, ad ognuno dei quali viene dedicato un episodio. Il problema è che non si capisce cosa, all’interno di questa serie, sia realmente importante, in quanto l’attenzione dello spettatore viene canalizzata completamente verso il segreto dell’istitutrice che, una volta scoperto, viene dimenticato e non più affrontato, per poi indirizzarlo verso altre linee narrative, come ad esempio la storia d’amore tra l’ex maggiordomo Peter Quint e l’ex istitutrice Rebecca Jessel (interpretati da Oliver Jackson-Cohen e Tahirah Sharif).

Purtroppo come risultato finale si riscontra una evidente mancanza di fluidità. Gli ultimi due episodi, che dovrebbero andare a chiudere la storia, aggiungono invece ulteriori elementi che rendono il prodotto fortemente annacquato. Non assistiamo a un crescendo coerente, ma piuttosto ad un puzzle, i cui pezzi inizialmente si incastrano in maniera avvincente, ma che tuttavia alla fine compongono una trama forzata, deludente e prevedibile.
L’incoerenza purtroppo si vede anche a livello dello sviluppo dei personaggi, del ritmo degli episodi, andando a mancare quella tensione principale che ci si auspica debba sopravvivere per tutta la durata della
serie.

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