The Boys in the Band, la recensione del film su Netflix

The Boys in the Band

Il 30 settembre è uscito in esclusiva nel catalogo Netflix The Boys in the Band (trailer), tratto dall’omonimo dramma teatrale di Mart Crowley. Il film, prodotto da Ryan Murphy, costituisce il secondo adattamento cinematografico dell’opera e la quarta collaborazione tra il produttore e la piattaforma streaming. The Boys in the Band debuttò a New York nel 1968, e da subito si impose per la sua energia, ma soprattutto per il suo coraggio, poiché portava per la prima volta a Broadway uno spettacolo interamente dedicato alla realtà omosessuale del tempo. Il testo infatti, è considerato ancora adesso uno dei fondamentali del teatro LGBT. Il primo adattamento cinematografico, Festa per il compleanno del caro amico Harold (1969) diretto da William Friedkin, uscì nelle sale americane poco dopo i famosi moti di Stonewall, in un periodo di tensioni e di mutamenti sociali, che ne causarono la sfortunata accoglienza spettatoriale e critica.

Nel 2018 però, Ryan Murphy e Joe Mantello, portano nuovamente le piece teatrale a Broadway, in occasione del 50esimo anniversario di The Boys in the Band, vincendo il Tony Award al miglior revival di un’opera teatrale. Da sottolineare è una qualità del cast: tutti gli attori che hanno aderito al progetto sono dichiaratamente omosessuali, così come Murphy e Mantello. La forza dell’opera si basava sulla sua voglia di dare voce all’universo omosessuale, di rompere gli schemi, di allontanarsi dai ritriti cliché che circondavano l’ambiente delle persone gay degli anni ’60. Ma questa lotta, nonostante siano passati più di 50 anni, risulta ancora oggi molto attuale ed ha fatto sì che attori come Jim Parsons, Zachary Quinto e Matt Bomer aderissero volentieri alla proposta di Murphy.

È il 1968, New York. Nell’appartamento di Michael, interpretato da Jim Parsons, il padrone di casa e il suo amico Donald (Matt Bomer) sono intenti a preparare l’atmosfera per la festa che terranno la sera stessa per il loro amico Harold (Zachary Quinto). Gli invitati sono tutti omosessuali, ma una chiamata improvvisa nel pomeriggio rompe le dinamiche del gruppo: è Alan (Brian Hutchison) un amico di Michael risalente agli anni del college, omofobo e ignaro della tendenza sessuale dell’amico, che preso da una crisi misteriosa, vorrebbe incontrarlo con urgenza. Pensando di risolvere tutto in poco tempo Michael lo invita a casa prima della festa, ma la serata non va secondo i piani. All’arrivo di Alan gli equilibri del gruppo vengono meno, e nonostante il padrone di casa abbia chiesto agli amici di nascondere la propria omosessualità, l’orgoglio di alcuni finisce per creare particolari tensioni. Tra alcool, pregiudizi e battute feroci la festa perde la sua leggerezza, e un gioco proposto da Michael porta a galla segreti amorosi di passati tormentati.

Nell’adattamento cinematografico di The Boys in the Band, Mantello riprende l’intero cast di Broadway, che comprendeva già molti attori del mondo hollywoodiano. La loro interpretazione è egregia, ma da sottolineare sicuramente è la qualità della regia. Mantello non esagera mai, crea un atmosfera intima propria di una rappresentazione teatrale. Il suo stile non è autoriale anzi, è accostabile alla serialità di Netflix, ad una narrazione che risulta più vicina allo spettatore contemporaneo e che rende il testo accessibile a tutti.

In questo frangente, fondamentali sono scenografia e fotografia. Siamo distanti dalle cupe atmosfere di Festa per il compleanno del caro amico Harold. Le luci soffuse e colorate, la regia minimalista e l’ambiente casalingo creano l’atmosfera perfetta per permettere allo spettatore di partecipare in prima persona alla festa, diventando un invitato che condivide le stesse tensioni, le stesse paure e si pone le stesse domande dei protagonisti. Le tematiche affrontate spaziano dall’omofobia alla lotta per la parità sociale, dall’amore all’accettazione di se stessi. Lo spettatore non può non condividere i disagi dei personaggi e riconoscere la difficoltà della loro condizione.

Il film risulta lento in alcuni punti, ma è una lentezza necessaria dovuta alla natura teatrale del testo. Molte battute, infatti, soprattutto dei due personaggi principali Michael e Harold, per la loro lunghezza rasentano il monologo e contribuiscono a rallentare il ritmo complessivo. Questo perché Mantello rimane molto fedele al testo originale di Crowley, non adattandolo particolarmente per l’audience dello streaming. Ma in definitiva, The Boys in the Band risulta comunque un film accattivante e dalla grande energia, grazie all’eccellente interpretazione degli attori e alla forza della sua storia. Un’esperienza teatrale alla portata dello spettatore casalingo da non farsi sfuggire.

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