Suburra, la recensione della terza stagione su Netflix

Si è conclusa la serie Netflix Suburra con la terza stagione (trailer), la prima serie italiana prodotta dal colosso dello streaming statunitense. Un cammino durato tre anni, che ci porta nella parte criminale della città eterna per l’ultima volta. Ritroviamo i due protagonisti Aureliano Adami (Alessandro Borghi) e Spadino Anacleti (Giacomo Ferrara), che bramano vendetta nei confronti di Samurai (Francesco Acquaroli) per gli eventi della seconda stagione.

Come le precedenti due stagioni, anche la terza ha un tema centrale. Se nella prima vedevamo la corruzione della chiesa, nella seconda lo stato, in quest’ultima al centro dell’attenzione troviamo il lato criminale di Roma, dove i due ragazzi cercano il potere per dominare tutte le principali piazze di spaccio, partendo da Ostia per arrivare fino ai quartieri più alti della capitale. Nel complesso la stagione è una degna conclusione, soprattutto per quella che una serie che avuto un enorme successo sia dentro i confini del Grande Raccordo Anulare che fuori. La scelta coraggiosa da parte di Daniele Cesarano e Barbara Petronio, ovvero i due ideatori della serie, di scollegare il finale dal film, uscito nel 2015, è stata una grande mossa, in questa maniera non ci siamo ritrovati con qualcosa di già scritto, ma con qualcosa da riscrivere.

Poco apprezzata invece l’uscita di scena di altri personaggi, primo tra tutti Sara (Claudia Gerini) che nel finale della seconda stagione ci lascia con un importante sviluppo del suo personaggio, completamente abbandonato già nel primo episodio della terza stagione. Stessa discorso vale per Adriano (Jacopo Venturiero).

Non si può dire lo stesso di Amedeo Cinaglia (Filippo Nigro), che in quest’ultima stagione vede la propria psicologia mutare positivamente, uno scontro interiore avviene in lui per tutta la serie, in quanto nella posizione di dover scegliere se abbandonare la vita criminale che ha intrapreso da tempo, oppure continuare rischiando di perdere tutto, in un conflitto che potremmo definire alla Breaking Bad.

Se Suburra non si presenta solo per mostrare la parte criminale di Roma, ma anche la sua bellezza, è dovuto all’attenta scelta delle location che ci mostrano un’ambientazione che apre lo sguardo a perle nascoste della città, grazie anche alla fotografia di Arnaldo Catinari e Fabrizio Vicari che riesce a valorizzare questi scorci della capitale.

Ma non solo la fotografia, persino le musiche ci aiutano a vedere la città con altri occhi. Già nella prima stagione ci siamo fatti accompagnare da 7 Vizi Capitale di Piotta, nella seconda stagione un mix tra Brokenspeakers e Cor Veleno. Nella stagione conclusiva vediamo il ritorno dello stesso Piotta che si è impegnato nella creazione di un intero album per queste puntate finali.
Canzoni che ti buttano in un modo sporco e nascosto, celato nei vicoli di Trastevere o di San Lorenzo, messi in bella vista da Suburra, tutto condito da una storia e dei personaggi che ci hanno permesso di esplorare questo microcosmo sotterraneo al meglio.

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