Messiah, la recensione della serie su Netflix

Su Netflix: Messiah

Messiah (trailer) è la serie originale, ideata da Michael Petroni e diretta da James Mc Teigue, con cui Netflix ha deciso di inaugurare questo 2020. La serie, specialmente nelle intenzioni, si mostra molto audace e stimolante, partendo da una domanda semplice ma al contempo macchinosa: come reagirebbe l’umanità se si materializzasse tra noi un predicatore sostenendo di essere il profeta di Dio? Da questa base, Messiah analizzerà le implicazioni derivate, inserendole in un racconto altamente ambizioso.

Siamo a Damasco in un prossimo futuro e l’ISIS, che ha riacquistato potere e influenza, si trova alle porte della città, pronto per attaccare. Viste le condizioni, la popolazione vuole darsi alla fuga, ma un giovane predicatore afferma che la città è salva per volere di Dio e che lui ne è “La Parola”. Mentre viene accusato di spergiuro, una tempesta di sabbia si abbatte sulla città, persistendo a lungo e costringendo alla fine le truppe del Califfato alla ritirata. Questo evento indurrà le persone a credere che quello davanti a loro è realmente il Messia. La CIA e l’agente Eva Geller (Michelle Monagham), non credendo di trovarsi dinanzi al nuovo salvatore, decidono di tenerlo sott’occhio e dargli un’identità.

Su Netflix: Messiah

Lo spettatore è portato a interrogarsi su quali possano essere gli effetti politici, sociali e antropologici di un evento di questa portata, attraverso lo sviluppo della storia, ma anche attraverso il personaggio del Messia (Mehdi Dehbi), il quale è caratterizzato da una natura criptica ma precisa nella sua funzione: vengono intervallati momenti in cui il Messia combacia con la figura cristologica che tutti siamo stati abituati a conoscere ed altri in cui ne emerge la componente profondamente umana che potrebbe di fatto etichettarlo agli occhi di tutti, da un momento all’altro, come un ciarlatano. Nonostante la figura del Messia ricopra un ruolo di centralità, il suo sviluppo nel corso della stagione è altamente connesso alla risposta che avrà la società: sarà questa reazione, nelle sue diverse sfumature, ad affermarsi col tempo come il vero cardine dello storytelling.

La serie pone l’accento sul comportamento dei capi di stato davanti alla possibilità dell’interruzione di tutti i conflitti e parallelamente di fronte a quello dei rappresentati religiosi, rendendo di fatto il Messia portatore di un contrastante sentimento di speranza e scetticismo. Durante questa prima stagione si intrecciano più linee narrative, il Messia, la famiglia Iguero, Eva Geller e Aviram solo per citarne alcune, che però non trovano una propria dimensione e una propria credibilità. I personaggi risultano poco approfonditi. La storia, che inizia in maniera promettente, sembra quasi avere una battuta d’arresto nella parte centrale, per poi premere l’acceleratore nelle ultime due puntate.

Nonostante Netflix non abbia ancora rinnovato per una seconda stagione, questa prima serie gode di un enorme potenziale, e deve essere pensata come l’inizio di una storia in grado di fornire un innovativo spunto di riflessione basato sull’atavico binomio fede-razionalità.

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