La vita davanti a sé, la recensione del film su Netflix

La vita davanti a sé

Che il 2020 sia stato un anno pieno di sorprese è ormai un dato di fatto, ma quella che ci regala oggi Netflix, con il ritorno sulle scene della leggendaria Sophia Loren, è quella che più di tutte ci lascia a bocca aperta. Edoardo Ponti, figlio della sopraccitata icona cinematografica di sempre del panorama italiano, è regista e co-sceneggiatore con Ugo Chiti de La vita davanti a sé (trailer), tratto dall’omonimo romanzo del 1975 dell’autore Romain Gary, già portato sul grande schermo da Moshé Mizrahi  con il film Premio Oscar nel 1977.

Il teatro della vicenda è Bari, più precisamente in un quartiere crocevia di culture ed etnie diverse. Madame Rosa (Sophia Loren), ex prostituta ebrea sopravvissuta ad Auschwitz, ormai divenuta anziana, ospita a casa con sé figli a loro volta di prostitute o ad ogni modo bambini  con situazioni estremamente difficoltose alle spalle. In una mattinata qualunque di commissioni, Madame Rosa verrà derubata da Momo (Ibrahima Gueye), undicenne senegalese musulmano; mai gesto più vile di quello segnò l’inizio di un amore tanto puro e sconfinato.

Perché quella de La vita davanti a sé, è innanzitutto questo: il racconto di un amore. O meglio, il racconto di un bambino che di amore ne ha conosciuto solo l’ombra più lontana  prima che questo gli venisse improvvisamente strappato via nel modo più crudele: con il sangue. Non c’è da stupirsi quindi se lo spettro caratteriale di Momo si colora, fin da subito, di note di aggressività e scontrosità, che soltanto una figura come quella di Madame Rosa, autorevole ma tanto materna allo stesso tempo, riuscirà a domare. Quello che compiono tenendosi per mano, in senso fisico e letterale, è un vero e proprio percorso di fiducia che getterà luce sull’evoluzione da cui lo stesso rapporto è attraversato, che paragonabile ad una montagna russa, vedrà l’alternarsi di alti e bassi prima di arrivare a promettersi , come faranno con la parola ebraica “Herem”, quel sentimento che investe gli animi dei protagonisti e indubbiamente dello spettatore alla fine della pellicola.

In questo, la nuova trasposizione cinematografica meglio riesce a delineare una linea temporale e consequenziale nelle azioni rispetto alla precedente produzione francese del ’77, in cui il rapporto tra il ragazzino, e una meravigliosa Simone Signoret nei panni di Madame Rosa, entra quasi in medias-res, assumendo in sé tutte le sfaccettature che vediamo solo al termine della pellicola di Ponti. Ma La vita davanti a sé è anche, strizzando l’occhio ad argomenti sociali sempre più attuali, la denuncia delle condizioni degli ultimi: un’ex prostituta ebrea, un orfano senegalese, una vicina di casa transessuale (Abril Zamora), un commerciante musulmano, trovano nello stesso esserci l’uno per l’altro, il “rifugio sicuro” di cui tutti i personaggi nella storia necessitano, e che sia una casa piena di bambini, o uno scantinato nascosto dietro l’ultima rampa di scale, o il retro di un piccolo negozietto, tutti alla fine ne trovano uno.

La vita davanti a sé

Peculiare è la scelta registica di trattare con estrema semplicità argomenti come quelli esposti, che notiamo bene, sono di una portata non indifferente. Ne risulta una sceneggiatura minimalista (forse in maniera eccessiva in merito ai background dei personaggi) dai dialoghi asciutti e pesati che evitano scene eccessivamete drammatiche e impegnative, linea in qualche modo coerente con il punto di vista del narratore della vicenda, Momo, che in quanto bambino non avrebbe fatto ricorso ad artifici retorici particolari ma sarebbe rimasto su un profilo basso ed essenziale, ma non per questo privo di pathos. In generale l’intera resa, costantemente illuminata dal cielo di una Bari colorata, è ben equilibrata, rendendone estremamente piacevole la visione. Le interpretazioni attoriali poi, risultano tutte più che soddisfacenti; non avremmo potuto chiedere di più da un esordio come quello di Ibrahima Gueye, intenso e magnetico, tanto da tener testa a un pezzo di Storia quale la Loren. Certo, sentirla irrompere con una frase del tipo “Sono vecchiarella, ormai” fa un certo effetto, quando sulle rughe puoi vederci ancora tutta la bellezza di una diva italiana e hollywoodiana, che spavalda, con accento napoletano e linguaggio a tratti “colorito” esibisce ancora quell’aria da sfida e incisiva che ha caratterizzato tutti i grandi personaggi portati da Lei sullo schermo dai primi anni ’50 ad oggi.

Per chiudere, il progetto estetico-narrativo de La vita davanti a sé vuole, tra le altre cose, gridare un messaggio universale di speranza per gli ultimi, così come per i primi; è un invito a tirare sempre la corda ma a non mollarla mai, è un invito alla lotta perpetua anche nel buio più pesto, perché d’altronde, Madame Rosa lo aveva detto “è proprio quando non ci credi più che succedono le cose belle”.

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