Little Fires Everywhere, la recensione della serie su Amazon Prime Video

Little Fires Everywhere

Little Fires Everywhere (qui il trailer), adattamento del romanzo best seller omonimo della scrittrice Celeste Ng, pubblicato nel 2017, affronta principalmente due tematiche: l’essere madre e la questione razziale.

Al centro della storia si contrappongono due personaggi femminili: Mia Warren (Kerry Washington) è un’artista afroamericana che, insieme alla figlia adolescente, vive alla giornata, senza fare troppi progetti, spostandosi di città in città alla ricerca di ispirazione per produrre opere d’arte sempre nuove. Elena Richardson (Reese Witherspoon), al contrario, è una donna bianca che controlla in modo maniacale la propria esistenza, programmando fin nei minimi particolari i propri impegni e quelli di tutti i membri della sua famiglia, ovvero suo marito e i quattro figli.
Le due donne sono accomunate solo dalla convinzione di agire costantemente nell’interesse della propria progenie ma si muovono in zone diametralmente opposte per quanto riguarda il modo di relazionarsi ai figli, così come alla vita più in generale. Mentre Mia incarna lo spirito libero tipico degli artisti, è completamente indipendente e gestisce la sua vita in funzione delle proprie convinzioni profonde e anticonvenzionali, Elena si attiene in tutto e per tutto ai dettami della società elitaria nella quale vive, curando le apparenze e imponendosi regole rigide.

La questione razziale è parte integrante della storia alla luce del fatto che Mia è una donna di colore. Questo, che di per sé non dovrebbe significare nulla, tuttavia determina l’instaurazione di tutta una serie di dinamiche relazionali basate su rapporti di potere tra persone di etnie diverse. Il colore della sua pelle le viene fatto notare continuamente a Shaker Heights, il nuovo quartiere nel quale si trasferisce, poiché i residenti sono tutti bianchi. Questi, seppur ostentando le migliori intenzioni, non fanno che discriminarla cercando di mascherare il loro presunto senso di superiorità e ostinandosi a mostrare una fervida volontà di accettazione. Per gli abitanti del nuovo quartiere Mia e sua figlia sono senza dubbio bisognose di aiuto perché svantaggiate. Il modo in cui si pongono nei confronti delle nuove arrivate più che risultare un gesto dettato dalla necessità di integrazione, si manifesta con atteggiamenti di pietosa condiscendenza. Prima fra tutti Elena che, assecondando il proprio malcelato egocentrismo, svende letteralmente un immobile di famiglia affittandolo a Mia e sua figlia ad un prezzo irrisorio così da sentirsi bene per la buona azione compiuta. Non contenta di questo grande gesto, offre a Mia la possibilità di lavorare per la sua famiglia come domestica, dando per scontato che una donna di colore non possa ambire ad altro. Essendo la residente di vecchia data di Shaker Heights così prodiga di attenzioni nei confronti delle nuove arrivate, spinge anche la sua famiglia, soprattutto i quattro figli adolescenti, a interagire con Mia e sua figlia.  

L’intera serie, composta da otto episodi, abbraccia svariati argomenti di discussione molto attuali che si intrecciano tra loro. Dalla sopracitata questione razziale a quella religiosa, dalla scoperta della sessualità al diritto delle donne di avere potere sul proprio corpo e sulle proprie scelte. È il 1997, i Richardson sono una famiglia borghese che gode di privilegi e agiatezze. Abituati a frequentare ambienti popolati da persone della loro stessa condizione sociale ed economica, si impegnano per provare a tutti di essere persone di ampie vedute, nonché prive di pregiudizi verso tutto ciò che potrebbero considerare “diverso”. Siamo sul finire del XX secolo, l’omosessualità è stata eliminata solo qualche anno prima dall’elenco delle malattie mentali da cui l’essere umano può essere affetto (la data storica è il 17 maggio del 1990) e, proprio nel ’97, un personaggio ancora oggi riconosciuto a livello mondiale per la propria influenza nella lotta per i diritti LGBTQ+ fa il proprio coming out segnando definitivamente l’importanza di rendere pubblico il proprio orientamento sessuale per coloro i quali non si sentono liberi e accettati. Parliamo ovviamente dell’attrice, comica e conduttrice di programmi televisivi statunitense Ellen Degeneres.

L’incontro tra i due nuclei familiari, così profondamente differenti e presumibilmente incompatibili, innesca una serie di eventi che sconvolgono i precedenti equilibri e spezzano quell’aura di perfezione che circonda i Richardson così come, lo stesso incontro riesce a dissolvere, in un attimo, le certezze delle due Warren. Il modo di fare, di comportarsi, di agire, l’apparente spensieratezza di Mia e lo zelo di Elena, affascinano e attraggono irrimediabilmente i loro figli, ma a parti inverse. Per la prima volta una madre diversa dalla propria sembra esattamente la guida giusta a cui affidarsi. Tutta la narrazione di Little Fires Everywhere ruota attorno al perno del rapporto madre-figlia. Le complicazioni soggiacenti a qualunque relazione familiare qui vengono esasperate e raggiungono l’estrema conseguenza, fino all’esplosione di quella perfezione iniziale così poco autentica. Sì, perché a Shaker Heights tutto è calma apparente e impeccabilità fittizia. Tra menzogne, misteri e furiosi litigi, ogni episodio è costellato di “tanti piccoli fuochi”, metaforici e non, che bruciano piano senza ardere mai davvero, molte tensioni difficili da sciogliere, innumerevoli contrasti irrisolvibili e il peso costante della necessità di trovare il proprio posto nel mondo superando quel senso di inadeguatezza tanto comune a tutte le età, ma del quale si fa fatica a parlare.

La sceneggiatura è basata su un meccanismo di salti temporali che offrono una retrospettiva sulle vite dei personaggi e sulle esperienze del passato che li hanno resi ciò che sono. La prima scena del primissimo episodio è sconvolgente ma poi si torna indietro e si ricostruisce il crescendo degli eventi che hanno portato a quello stravolgimento dell’equilibrio. Lo si fa lentamente, un passo alla volta. Niente viene trascurato, la regia è coerente, mai confusionaria. Lo spettatore viene fagocitato dalla storia, anche grazie alla recitazione eccellente del cast (compresa quella degli attori più giovani) e si convince di essere riuscito ad intuire chiaramente ogni cosa.

Su quanto sia utile o necessaria una serie come Little Fires Everywhere è difficile esprimere un’opinione obiettiva. Il fatto che sia ambientata in un’epoca storica che risale oramai a più di due decadi fa e che ogni avvenimento, specialmente quelli legati alle discriminazioni razziali, potrebbe accadere anche oggi, fa tristemente riflettere e certamente domandare quanto lunga debba essere la strada per la normalizzazione del “diverso” in un contesto globalizzato e cosmopolita.  

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