South Park: 25 anni dall’episodio pilota

South Park approfondimento 25 anni


Ogni persona cresciuta negli anni ’90 ricorderà delle nottate nascoste ai propri genitori, con la televisione accesa su MTV e il volume basso per non farsi sentire mentre si guardava South Park. Da piccoli la fascinazione era scontata per uno show in cui ogni parola proibita era reiterata allo sfinimento e le discussioni su sesso, droga e tutto quello che non ci si poteva nemmeno immaginare era liberata da ogni tabù. Ma qual è il reale valore culturale che si cela dietro la serie animata più sboccata, irriverente e controversa di sempre? Non è facile rispondere a questa domanda senza lasciarsi prendere da facili ricordi di infanzia che porterebbero a sviare da un parere più oggettivo. Sembra pure inutile o stupido provare a fare una disamina più o meno seria di un prodotto puramente comico e grottesco; sviscerare la risata è un’operazione che definire ossimorica è riduttivo.

Proviamo andando in ordine, partendo da un accenno di storia produttiva. Il seme di South Park viene piantato nel 1992 con il nome di The Spirit of Christmas: un cortometraggio di meno di 5 minuti in cui un gruppo di bambini – dall’aspetto simile se non uguale ai quattro protagonisti della futura serie – costruisce un pupazzo di neve che improvvisamente prende vita e inizia ad uccidere due di loro nella maniera più truce e splatter immaginabile. Solo un divino e blasfemo arrivo di Gesù in miniatura, uscito da un presepe esposto nella vetrina di un negozio, riuscirà a salvare la situazione armato di aureola utilizzata come un letale shuriken. In questo embrione di follia troviamo già la firma distintiva di Matt Stone e Trey Parker. Il loro stile di animazione rudimentale, ovvero una stop motion casereccia realizzata con ritagli di carta colorata, e la loro satira spudorata e menefreghista del senso civico comune sono i primi due fiori a sbocciare. Per avere il disfattismo parodistico nei confronti della contemporaneità, che fa da colonna portante e reale marchio di fabbrica della serie, si dovrà aspettare qualche anno di maturità comica e artistica dei due creatori.

Passano gli anni e arriva il 1997. Il 13 agosto viene trasmesso nelle televisioni americane sul canale di Comedy Central l’episodio pilota di South Park: Cartman si becca una sonda anale. Un ragazzino sovrappeso e viziato viene rapito dagli alieni e usato per i loro scopi misteriosi. Il contesto è una cittadina grottesca e retrograda vicino a Denver, tra le montagne del Colorado, dove neonati vengono calciati dai fratelli maggiori per gioco e ragazzini delle elementari si vomitano addosso perchè incapaci di esprimere affetto. I pochi fortunati – o sfortunati – spettatori dovevano rimanere scioccati. Lo share è medio basso, non si raggiunge nemmeno il milione di persone, ma il passaparola era inevitabile: non ci vuole molto tempo perché i gruppi religiosi e i più conservatori si rivoltino contro questa novità punk che si stava moltiplicando instancabilmente come un virus.

South Park approfondimento 25 anni

Ma non poteva essere una meteora destinata a spegnersi, il fuoco della novità divampava tanto forte e luminoso che non si poteva certo affievolire in un attimo. Il duo Stone-Parker aveva creato, probabilmente senza accorgersene, un simbolo iconico grazie ai quattro protagonisti e ai tormentoni. Ma per l’immortalità che hanno ottenuto il segreto non poteva essere la ripetitività cieca di gag infantili, causa invece del decadimento inevitabile degli altri successi animati americani quali Griffin e Simpson; la capacità di rinnovarsi e di essere sempre estremamente attuali nei temi è la chiave di volta per distinguersi in mezzo al mare di banalità propinato dalla televisione americana. Nasce per seguire un tipo di narrazione verticale ma la serializzazione si evolve, i creatori lo capiscono e la orizzontalizzano.

La tecnica semplice, che nel tempo si è evoluta in una computer grafica che non snatura l’effetto DIY che ha reso celebre la serie, ha sempre facilitato un attaccamento agli avvenimenti reali mai raggiunto da nessun alto prodotto di finzione: il gossip e gli avvenimenti storici sono incastrati alla perfezione nel mondo grottesco di South Park. L’esempio più evidente, o perlomeno quello più recente, sono gli speciali dedicati al Covid, nel quale nssuna problematica dei nostri tempi è lasciata alla superficialità, dalla diffidenza crescente tra le persone creata dall’obbligo di distanziamento sociale e la sinofobia, al contorno culturale come la critica alla brutalità poliziesca negli episodi razziali che hanno dato visibilità al movimento Black Lives Matter. La crossmedialità del prodotto in questi 25 anni ha raggiunto i livelli dei grandi prodotti delle multinazionali tra videogiochi, film, magliette e pupazzi.

Anche la critica si è dovuta arrendere e riconoscere lo strapotere popolare e le indubbie qualità parodistiche del duo Stone-Parker, tanto da fargli valere una candidatura agli Oscar grazie ad una canzone nel film del 1999 – impossibile tra l’altro non ricordare la loro comparsa pubblica sul red carpet dell’Academy in cui ammisero di essere strafatti di acidi. Ancora oggi la produzione della serie comica animata più grande di sempre è infermabile e sembra non fare mai un passo indietro sull’esagerazione, spostando sempre un po’ più in là il paletto della sopportazione. Ma attualmente la gloria di South Park è talmente affermata e innegabile – la piattaforma Paramount+ ha da qualche tempo commissionato 5 nuove stagioni – che agli appassionati basta rivedere Stan, Kenny, Cartman e Kyle alla fermata del bus con la loro espressione annoiata per iniziare a sorridere

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