
La sedicesima prova del regista britannico Mike Leigh è Scomode verità (trailer), un comedy-drama che non teme di porre lo spettatore e i personaggi di fronte ad un scavo dentro se stessi.
Pansy Deacon (Marianne Jean-Baptiste) è una donna depressa e rabbiosa, sopraffatta dalle responsabilità e dai dolori che le hanno segnato la vita. Convive con due uomini che appaiono come due estranei ma che sono in realtà il marito, un operaio mite e remissivo, e il figlio, che si autoesclude da qualsiasi forma di socialità. Pansy non risparmia di esternare la sua insofferenza in qualsiasi contesto e senza freni. Questa è anzi la sua unica modalità per comunicare e infatti trasuda irritazione da ogni sua parola, che si tratti di discutere con un medico o con la propria sorella. Questa costante irruenza è dunque gratuita o segnale di qualcosa di ben più profondo?
Mike Leigh, autore anche della sceneggiatura, sottopone allo spettatore molteplici interrogativi, ricercando l’empatia in lui insita e tentando di stimolarne riflessioni ancora più intime e personali. Non nuovo a queste tematiche, l’apparente semplicità dell’intreccio è in linea con l’analisi realistica e cruda delle altre pellicole. Il film preferisce giocare quasi interamente la sua tenuta ritmica sui dialoghi, che funzionano egregiamente, mettendo in secondo piano l’apparato visivo, che resta invece scarno e fatica a spiccare.
Le mura bianche ed asettiche della casa di Pansy fanno da specchio a un’esistenza che si sente soffocare, che sputa veleno ma non riceve nessuna reazione in cambio. Il silenzio o i commenti di circostanza del figlio disoccupato e di un marito che non sa comunicare comprimono l’insofferenza di Pansy, che non sa più come muoversi. La stanchezza di chi, per troppo tempo, ha mantenuto un atteggiamento aggressivo da cui non riesce a liberarsi, trova nel sarcasmo e nella violenza verbale la sola forma di espressione, che la rende però impermeabile. L’unica persona che, anche se afferma di non saperlo fare, comprende Pansy è sua sorella Chantelle (Michele Austin). Questa è solare, brillante e soprattutto una grande ascoltatrice. Nonostante l’evidente differenza caratteriale Chantelle non si discosta mai dalla sorella, ma anzi accoglie il suo guscio, affrontando con coraggio le spine che lo circondano. Le esperienze condivise e un affetto puro e incommensurabile sono gli strumenti che permettono a Chantelle di capire, almeno in parte, la sofferenza di Pansy.

Recentemente usciva nelle sale un altro film centratissimo sulle diverse modalità di affrontare il dolore, il lutto e la vita stessa. Era A Real Pain, che condivideva con Scomode Verità anche il legame di sangue tra i due protagonisti e l’approccio realistico. Il film di Leigh rientra quindi in una tendenza da sempre presente nella storia del cinema, ma in tempi recenti riaffrontata dando attenzione al contesto odierno, radicando le sofferenze sottese di ognuno in spaccati di realtà che coprono l’arco di qualche giorno.
Se A Real Pain restava però centrato sulle due figure principali, aiutato anche dal filone travel film, Scomode Verità cerca di collettivizzare la cruda difficoltà della vita di tutti i giorni. L’inquadratura passa così da un personaggio all’altro, cercando di non lasciare inosservati i tentativi di tenersi a galla di nessuno. Sembra riuscirci solo in parte. Nonostante l’apprezzabile giustificazione tematica, i brevi intermezzi dedicati ai personaggi secondari del contesto familiare restano inserti che non trovano alcuno spazio nello sviluppo emotivo del film. Lasciano quindi l’amara sensazione che uno sguardo più ampio tolga in realtà profondità al cuore stesso dell’opera.
Ad essere pienamente centrato è invece il personaggio di Pansy, sorretto da una performance recitativa magistrale da parte di Marianne Jean-Baptiste. Dopo un inizio un po’ ridondante nei suoi costanti dialoghi aggressivi, le parole di Pansy, rivolte alla sorella sopra la tomba della madre, abbandonano finalmente la veemenza per lasciare spazio a una maggiore intimità. Quando Chantelle le chiede tra le lacrime il perché questa non riesca a godersi la vita, Pansy non può far altro che rispondere che non lo sa. Il suo è un dolore inespresso e sotterraneo, che ha origini talmente profonde da risultare per la protagonista stessa inestricabile. E così invalicabile è anche l’atteggiamento di Pansy, da cui non riesce a liberarsi e da cui è ella stessa ingabbiata. I primi piani sul volto di Marianne si fanno quindi simbolo della volontà di Mike Leigh di indagare profondamente i lati meno socialmente accettati della depressione. Tentativo più che lodevole, in una società in cui sempre più si tende al giudizio semplicistico per accontentare la coscienza egoista di ognuno.
In sala dal 29 maggio.