#ROMAFF15: Seize Printemps, la recensione

Seize Printemps

A soli vent’anni, Suzanne Lindon, mette in scena una danza dal sapore romantico tipico del passato avanguardistico. Ambientato in Francia e con le sfumature tipiche della Nouvelle Vague, ma con la freschezza tipica di chi, appunto, ha solo vent’anni, Seize Printemps (trailer) approda, con il famoso bollino Cannes, sia al Festival di Toronto, che alla Festa del Cinema di Roma.

Suzanne è un’adolescente sedicenne, fin troppo matura per i suoi coetanei e caratterizzata da un continuo status di noia e incomprensione. Status che la regista e sceneggiatrice (nonché attrice protagonista) riesce benissimo a rendere, fin dall’inizio, con inquadrature frontali e alcuni dialoghi quasi godardiani, essenziali e pregnanti, quanto quasi astratti. Come una contemporanea flaneur, la giovane donna (in quanto quasi più donna che ragazza), sembra vivere realmente solo i momenti in cui si addentra tra i vicoli della città. In questi unici momenti fuori dalla routine quotidiana, Suzanne sperimenta il proprio sguardo cercando nuove emozioni, fino a incontrare Raphael, attore teatrale preso dalla medesima angoscia, ma contraria, in quanto vent’anni più grande della giovane protagonista.

Hanno inizio così diverse sequenze particolarmente visive e particolarmente reali nella loro surrealtà. In pieno accordo con il gusto del cinema francese, la Lindon riesce a mostrare l’universalità di un momento tanto particolare quanto dolce: l’emozione data dal primo amore. A Suzanne non basta spiare il suo innamorato, come una semplice voyeur, ma vuole immedesimarsi e immagazzinare ogni suo piccolo dettaglio, ogni sua piccola ruga quotidiana. D’altronde, se lo sguardo è sempre stato fondamentale, oggi, con l’avvento della virtualità, la riproduzione diventa la vera aurea dell’esperienza e così, per esempio, Suzanne si ritrova, dopo aver osservato Raphael mangiare un toast con la marmellata di fragole, a volerlo rifare, così come se solo copiandolo potesse davvero impossessarsi del suo essere e farlo suo.

Il gioco continua finché l’attore non decide di fare un passo avanti verso di lei. Da questo momento, la macchina da presa inizia davvero la sua danza e la sua sperimentazione più poetica e romantica. Non solo si ha, diverse volte, un ritmico scambio di punti di vista, ma, la cosa più interessante, è come questo avviene. Ogni qualvolta, infatti, ci si sposta a seguire Raphael nella sua disillusione, si finisce sempre con un movimento di sguardi in cui si ritorna a Suzanne. Lo spettatore, dunque, è portato inconsciamente a chiedersi se ciò che sta vedendo sull’attore non sia in realtà solo la pura immaginazione della giovane protagonista, che ormai ha assorbito pian piano l’essenza del suo stesso innamorato, conoscendolo fin dentro l’intimo più profondo. Tale quesito assume una valenza maggiore se si tiene conto di una serie di scene intense e in pieno stile Nouvelle Vague, in cui la sintonia tra i due, resa quasi teatralmente come una danza potente e intensa, supera i limiti di ciò che potrebbe essere reale; in cui Suzanne e Raphel diventano uno parte indissolubile dell’altro.

Seize Printemps si manifesta così come simbolo di un’era, quella contemporanea, ma anche come simbolo di resistenza. Resistenza romantica di un certo cinema, quello avanguardistico francese, che può comunque riscoprirsi anche negli sguardi più giovani, trovando la propria aurea in una riproposizione nuova, estremamente e dolcemente vera.

Ti potrebbero piacere anche

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ho letto la privacy policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali ai sensi del Regolamento Europeo 2016/679 (GDPR) e del D.Lgs. n. 196 del 2003 cosi come novellato dal D.Lgs. n. 101/2018.