#ROMAFF15: Ammonite, la recensione

ammonite

Sulla costa meridionale d’Inghilterra, Mary Anning (personaggio storico davvero esistito, di cui però si sa poco, interpretata da Kate Winslet) divide le proprie giornate tra la gestione insieme alla madre di un negozio per turisti e le ricerche paleontologhe che effettua in totale solitudine sulla spiaggia. Un giorno, in negozio entra un collega che si offre come collaboratore; al suo fianco, sua moglie Charlotte (Saoirse Ronan), un fantasma silenzioso che china il capo al cospetto del marito, il quale rifiuta le sue attenzioni e decide per lei cosa mangiare. Per una serie di coincidenze forzate, le due donne si ritroveranno a convivere a stretto contatto, così da due esistenze scolorite, finiranno per incuriosirsi l’una dell’altra.

Scritto e diretto da Francis Lee, Ammonite (trailer) è un film intellettualoide che fonda il proprio racconto sul minimalismo. I dialoghi si contano sulla punta delle dita, infatti la narrazione si basa su un gioco dialettico di sguardi e gesti che le due protagoniste esprimono e si esprimono l’una con l’altra. A questo gioco però mancano due cose fondamentali: la comunicazione con lo spettatore e la passione del sentimento. Così la narrazione silente presto finisce per seccare, poiché non riesce a legittimare interamente gli sviluppi del plot narrativo.

Lo sforzo registico di Lee è notevole, tuttavia il racconto visivo non è sorretto da una sceneggiatura abbastanza solida da riuscire a coinvolgere lo spettatore. Ammonite avrebbe voluto che la narrazione minimalista comunicasse con lo spettatore attraverso i dettagli, però vengono trascurati alcuni presupposti perché si crei prima un punto di contatto tra le due protagoniste, poi un contatto tra il film e lo spettatore. Ad Ammonite quindi manca di sentimento e l’unica passione percepibile è quella fisica, che però diventa fine a se stessa.

Il mare della costa in cui è ambientato il film è incolore, un grigio sbiadito che non riesce a essere utile nel processo di guarigione di Charlotte. Nello stesso modo appare il film di Lee agli occhi dello spettatore: la promessa di un racconto passionale ridotto a un esercizio intellettuale senza trasporto. Ammonite, anzi, crea un distacco con lo spettatore, per colpa soprattutto dei lunghi silenzi e una sceneggiatura fin troppo forzata e introversa.

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