Rim of The World, la recensione del film su Netflix

rim of the world

Se state cercando un buon film, con una trama interessante, nuovo, senza stereotipi e fatto bene, allora non considerate “Rim of The World” (qui il trailer). Vi assicuro che non è un giudizio semplice e affrettato. Andiamo con ordine.

Un nerd, una ragazza asiatica, un galeotto e un ragazzo di colore sono in campeggio estivo in California. No, non è una barzelletta né una storiella, è la base di partenza di questa pellicola. Questi adolescenti, impegnati ad affrontare le classiche sfide dei campeggi “all’americana” (bulli, paure, prime esperienze etc.), assistono allo schianto di una capsula di salvataggio con dentro una astronauta della ISS (stazione spaziale internazionale) che, ferita e morente, consegna loro una chiave misteriosa e li prega di portarla in un laboratorio della Nasa. Ovviamente il ragazzino nerd, presentatoci all’inizio del film nella sua stanza piena di schermi e di modellini di astronavi, conosce l’esatta località in cui si trova il centro di ricerche (Pasadena per chiarirci) e convince i suoi amici a partire per questa avventura per salvare il mondo. Attenzione però, l’astronauta era inseguita da un alieno, con visione ad infrarossi e con la bocca al 90% come quella di Predator. Questo la uccide, in un modo in cui Freud avrebbe fatto l’occhiolino sorridendo, e decide di prendersela con i ragazzi lanciando al loro inseguimento una sorta di cane spaziale che fa uscire dal suo stesso corpo.

Non sto inventando nulla, giuro. I ragazzi involontariamente uccidono il cane per riuscire a fuggire, ma l’alieno la prende molto sul personale e decide di inseguirli per vendicare la sua perdita. Lo spettatore Americano medio, target di questo film, probabilmente ha pensato: “ma quanto è ingiusto che un essere che decide di invadere un mondo se la prenda sul personale se uno dei suoi soldatini viene ucciso da quelli che stanno cercando di salvarsi?” Una gran bella domanda a cui stanno cercando di rispondere anche molte persone del medio oriente, ma non è il momento adatto per parlarne, sorvoliamo. Comunque la storia prosegue con i ragazzini che incontrano gente inutile, che vedremo per trenta secondi e basta, l’alieno che vuole vendicarsi e varie vicende per cercare di salvare il mondo. Non vi dico altro perché se avete visto qualche film di invasione aliena potete già immaginarvi tutto senza fatica e senza sforzi creativi.

Tirando le somme per quanto riguarda la sceneggiatura, la si può definire tranquillamente semplicistica, un qualcosa di già visto che sembra andare verso il citazionismo estremo con alcune battute dei personaggi, ma non sottile ed efficace, invece palesato e anche forzato. La prima volta che la ragazzina cinese parla, per esempio, cita “Il Gladiatore” e sarebbe potuta essere una soluzione divertente e piacevolmente strana se non fosse che, esattamente tre secondi e mezzo dopo, la citazione viene svelata da un altro dei personaggi. Tutto il film sembra essere costruito appunto su questo gioco di rimandi e lo si può intuire già dalle prime immagini dopo i loghi delle case di produzione, quando si vedono solo le stelle e le astronavi avvicinarsi alla terra che entrano nell’inquadratura esattamente come la nave ammiraglia dell’Impero nel primo capitolo della trilogia originale di “Star Wars“. La sensazione generale è che questo script e le idee concettuali e visive siano stati costruiti con semplicità e velocità, prendendo vari film del genere sci-fi o fantascientifici e rimescolandoli insieme a “Stranger Things”.

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Probabilmente vi starete chiedendo cosa di positivo si può trovare in questo prodotto. È un quesito a cui purtroppo non so rispondere, ma se volete posso dirvi cosa invece c’è di veramente negativo, o meglio, di sbagliato all’interno del film: il product placement. Non bastava mettere ai ragazzi un cappello, una felpa, o una maglietta di un marchio, no, c’era il bisogno di far annunciare ad uno di questi il cambio d’abiti e far partire una scena veramente trash dove questi tredicenni si muovono, ballano e fanno cose a rallentatore con sotto una musica, rigorosamente stile spot pubblicitario, mettendo in bella mostra il marchio Adidas e scherzando amorevolmente tra loro come se dall’ambientazione post apocalittica del centro commerciale si fosse passati ad una scena in un quartiere di periferia dove loro, la baby-gang, va in giro con i vestiti firmati pedalando sulle classiche BMX americane.

Il momento trash non finisce qui, loro escono dal supermercato e davanti a loro nel posteggio resta un’unica macchina integra e immacolata mentre tutte le altre (tre macchine in croce) sono andate distrutte. Il nerd, che non sapeva andare in bicicletta fino al giorno prima (glielo hanno dovuto insegnare gli altri tre), decide di mettersi al volante, ma ahimè non sa guidare con il cambio manuale. Allora la ragazzina asiatica (dal passato oscuro), il cui padre voleva un maschio (un personaggio che è il risultato di un miscuglio tra critica politica e “Lady Oscar“), si mette al posto di guida e, dopo aver fatto una trentina di sgommate in tondo come solo i ragazzini di tredici anni senza patente e che non arrivano neanche a vedere oltre il cruscotto sanno fare, partono a tutta velocità driftando tra le macerie e tra i resti delle altre macchine per le strade di Los Angeles.

Tante altre sarebbero le cose da criticare di “Rim of The World“, ma rischio di diventare ancora più prolisso di quanto non sia già stato. Meglio se ve le elenco in velocità senza soffermarmici troppo. I VFX (effetti visivi) sono veramente in bassa qualità, manca veramente poco che si abbassino sotto il livello di quelli di Star Wars ep. I, II e III. La fotografia utilizza dei filtri colorati abbastanza disturbanti per inserirci più “emotivamente” all’interno della storia, ma l’effetto ottenuto è fastidioso più che efficace. La recitazione dei ragazzini, purtroppo per loro, è in linea col basso livello del film, l’unico che forse si salva è Benjamin Flores Jr. (il ragazzino di colore) che riesce a mantenere bene il personaggio, nonostante sembri Kevin Hart dentro il corpo di un bambino. La colonna sonora oltre a qualche brano originale, che a malapena sentiamo, utilizza anche pezzi di alcune canzoni hip hop, rap e trap che vengono in parte censurate, nonostante il film sia 14+ in America, per evitare di diventare volgare. I movimenti di camera, durante le scene d’azione, sembrano seguire la tendenza ad essere a mano o spalla per creare concitamento, senza però capire quando effettivamente ci sia da far risaltare l’azione, risultando così sgradevoli e noiosi nonostante l’intento completamente opposto.

Mi sembra di aver detto tutto ma purtroppo sono quasi certo di aver tralasciato altri aspetti negativi del film. Sinceramente spero di avervi convinto a lasciar perdere e passare oltre e cercare qualche altra offerta dell’enorme catalogo Netflix, ma se invece ho ottenuto l’effetto opposto e vi ho incuriosito allora mi scuso con voi e vi suggerisco nuovamente di non considerarlo Se proprio siete testardi vi consiglio allora di prepararvi già un episodio della vostra serie preferita da guardare dopo aver visto questo prodotto per rifarvi gli occhi, oppure di munirvi non solo di Coca-Cola e pop-corn ma anche di tanto alcol per evitare di ragionarci su troppo.

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