#PesaroFF61: seconda giornata del Concorso del Nuovo Cinema

Insignificant specks of dust in a tapestry of stars, recensione

I film della seconda giornata alla 61esima Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro si pongono in diretta continuità – e lucido dialogo – con quelli presentati ieri. È evidente la direzione verso cui si rivolge lo sguardo dei cineasti, uno sguardo rivolto al passato del mondo per una necessaria rilettura e interpretazione dell’oggettivo, un processo che comincia dall’iride di Insignificant specks of dust in a tapestry of stars (trailer). Un rapido viaggio spaziale tra le stelle fino alla luna deserta, una bandiera conficcata nel terreno lunare, e l’atterraggio su (per via di un legame inevitabile con) quello che è il nostro pianeta, anch’esso desertico, tra gli “zama zama”, i minatori irregolari sudafricani che estraggono diversi materiali preziosi dalle miniere chiuse, lavorando senza alcun tipo di sicurezza in condizioni estreme, rischiando la vita. Il termine “zama zama” deriva da un’espressione zulu che significa “provare e provare di nuovo”, ed è qui che risiede, in questo tentare e tentare ancora con perseveranza, il collante tra il cielo (lo spazio) e la Terra, tra Paese e Paese, tra astronauta e minatore. Una “gara” impari che si combatte in entrambi i casi tra l’incertezza e l’ignoto, nel tentativo di vincere a tutti i costi un’impossibile e respingente espansione verticale. Ma se da una parte si tende all’oltremondo, dall’altra si vaga nelle sue più profonde viscere. Kyllachy riordina i materiali d’archivio e associa in modo brillante due dimensioni che altrimenti faticherebbero a connettersi, offrendo una rilettura critica del presente attraverso immagini preesistenti, immagini che non devono essere dimenticate, ma a cui anzi dobbiamo attribuire nuovi sensi e significati.

Duas vezes João Liberada pesaro dasscinemag

Ma il cinema, lo sappiamo, è anche un trucco, è finzione. Ma anche la finzione pretende una responsabilità analitica e un forte attaccamento alla realtà, secondo la cineasta portoghese Paula Tomás Marques e la sua fittizia João Liberada. João infatti non esiste, eppure, nella sua inesistenza, “è”, in quanto identità singola e nuova, composta da vari frammenti vitali, reali: «Il personaggio […] è (infatti) ispirato a una serie di processi che l’Inquisizione ha istruito nel Sei e Settecento contro dissidenti del genere sessuale che, in base alla documentazione, oggigiorno potrebbero identificarsi nella varianza di genere». È tutta una questione d’identità (e di una sua costruzione) e di consapevolezza di sé, il processo mentale elaborato dall’attrice June João mentre si prepara ad interpretare l’altra fintamente-reale João. Intanto il regista del biopic (del film nel film) viene colpito da una misteriosa paralisi dopo le varie discussioni con l’attrice protagonista: il primo è fissamente legato all’oggettività, ai fatti tangibili proposti dai documenti, mentre l’altra ricerca uno sguardo (critico) verso ciò che sta al di fuori degli atti ufficiali, indirizzata quindi verso l’interpretazione e l’analisi del passato con uno sguardo presente. «Forse la moda del biopic è stata un errore», sottolinea l’attrice, forse proprio per questo sguardo acritico e non-interpretativo nei confronti dei personaggi rappresentati. È quindi meglio capire il mondo per come ci viene presentato o per come possiamo analizzarlo?

Come in molti film del concorso (e forse anche per un grande numero di cineasti contemporanei) i fantasmi ricoprono un ruolo fondante; delle entità con cui dialogare (qui letteralmente) per mettere in chiaro alcune importanti mancanze (e per ricomporsi). Così, Paula Tomás Marques con Duas vezes João Liberada (trailer), con la doppia vita di João Liberada, riesce a sviare l’ingombrante classicità del biopic, solitamente lineare e chiarificatore, componendo un corpo nuovo, che è esistito e che può ancora esistere.

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