#PesaroFF61: prima giornata del Concorso del Nuovo Cinema

prima giornata Pesaro festival

Qui alla 61esima Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro inizia il concorso che nella prima giornata riflette sul passato che pretende di dialogare con gli avvenimenti del presente, per contestualizzarli, per comprenderli, attraverso una minuziosa analisi sulle immagini e sulla loro funzione.

CÓMO SUTURAR LA TIERRA? dasscinemag pesaro

Ad aprire il concorso è ¿Cómo suturar la tierra? (trailer) del regista ecuadoriano Wil Paucar Calle che ripercorre i luoghi di un passato da cui la madre era stata costretta a scappare anni prima, durante la guerra con il Perù degli anni Ottanta. Parole solenni e dolorose introducono un viaggio di riscoperta, di rabbia, accettazione e paure, come quella di non poter più trovare un altro posto da chiamare casa. I ricordi di un passato ormai inesistente si intrecciano ai sogni di un futuro alternativo. Il cortometraggio è pervaso da una nostalgia profonda mostrata con vulnerabilità e mani tremolanti. La macchina da presa, instabile, sfocata e scostante, scompare dietro alla necessità di osservare, mostrare e reclamare un passato da cui si è stati strappati, nel tentativo di “suturare” il rapporto con la terra natia.

Calle crea un collage emotivo di visioni, sensazioni e parole, accompagnato da canzoni popolari che, come solo la musica sa fare, rievocano tempi andati. Lo sguardo vaga fuori dal finestrino e il paesaggio scorre velocemente, accompagnato da parole dolorosamente personali e poetiche, un flusso di coscienza alimentato dalla nostalgia, e i ricordi, piano piano, prendono il sopravvento. Vecchie fotografie di famiglia illuminano il viaggio notturno del regista, proiettate sulle foglie, sui muri fatiscenti, sulle ringhiere e sui panni stesi, sovrapponendo la strada anonima del presente a momenti di vite diverse, sbocciate e appassite tra quelle stesse vie. ¿Como suturar la tierra? è un processo di ricordo catartico, condiviso in maniera viscerale, che riesce a mettere lo spettatore dietro agli occhi e tra i pensieri di chi ricorda. Racconta il dolore e la responsabilità di mantenere viva la memoria, di vite, famiglie e intere generazioni sull’orlo dell’oscurità, appese a storie sussurrate al buio da chi è ancora qui. Attraverso uno sguardo unico, il regista porta con sé gli spettatori nel suo viaggio di riappacificazione con il passato, impedendo così alla sua storia di scivolare nell’oblio.

Underground dasscinemag PesaroFF61

A seguire Underground (trailer), sotterraneo: «che si oppone intenzionalmente alla cultura tradizionale e ufficiale, utilizzando forme espressive e sistemi di diffusione e di produzione alternativi rispetto a quelli usuali». 

È un viaggio sotterraneo, quello di Kaori Oda, al limite tra uno sguardo vivo e uno nascosto e occultato. E comincia davvero, questa discesa, dopo una metro che passa, dopo i riflessi stroboscopici proiettati sulla superficie piatta di un laghetto in una grotta, da una tartaruga marina (o meglio dal disegno di una tartaruga marina) che si blocca brevemente sulla parete rocciosa, fissandosi per un momento, diventando un opera di simil-arte preistorica. Sembra Werner Herzog che in Cave of Forgotten Dreams scende nella grotta Grotta Chauvet in Francia per osservare i più antichi reperti al mondo, dipinti risalenti a 32.000 anni fa, o Alice Rohrwacher che con la sua Chimera cerca immagini inedite, sacrali.

La storia testimoniale parte da un dipinto su una non-tela, come erano (sono) non tela ogni oggetto su cui la cultura alternativa (underground, appunto) dei graffiti mette mano. E questa mano-ombra che segue la donna-fantasma, che vaga tra le grotte come una speleologa nel corso del film, sembra appunto associarsi ad un graffito, ad un pittogramma, un forte, nella sua semplicità, segno testimoniale, un qualcosa di vivo dentro ciascuno di noi, che ci segue sempre, e che possiamo ammirare. Un passato a cui dobbiamo evidentemente tendere; forse addirittura si parla di ricordi di altre vite vissute (alla Apichatpong Weerasethakul), vite che ci restano addosso e che si associano a quella presente. La frase «L’esperienza del buio» che viene spesso ripetuta nel film, frase ben salda nella nostra memoria ci ricorda che proveniamo dal buio, e dal momento in cui ne usciamo comincia il nostro protendere ad un altro nuovo, forse differente, buio. Che sia questa parentesi tra buio e buio l’esperienza a cui Kaori Oda si riferisce? Tra segni e suoni rimaniamo affascinati dalla contemplazione dell’esistenza.

Di Miranda Rinaldi e Edoardo Marchetti.

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