Padrenostro, la recensione del film di Claudio Noce con Pierfrancesco Favino

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La frase «Questo film è ispirato a una storia vera» che dà inizio a Padrenostro (trailer) si fa carico di una responsabilità insolita e curiosa, perché se è vero che la storia raccontata è ispirata a un fatto realmente accaduto, così come capita di frequente nel cinema, in questo caso il regista racconta un’esperienza che ha vissuto in prima persona. Padrenostro racconta la storia di un bambino che assiste a un attentato che suo padre subisce sotto casa ed è ispirato al vero attentato che Alfonso Noce, il padre del regista Claudio, subì alla fine degli anni settanta. Il cinema quindi da semplice racconto diventa un mezzo di testimonianza, un mutamento che certamente rende Padrenostro un film interessante, almeno nei presupposti. Anche perché la scelta di Noce (co-sceneggiatore insieme a Enrico Audenino) è quella di generare un racconto che sfrutti il suo legame diretto con la storia.

Infatti, il protagonista di Padrenostro è un bambino e, anche se è ambientato nei così detti anni di piombo, non c’è né vorrebbe esserci un’analisi delle problematiche socio-politiche che la situazione comportava. Questo perché il film ridimensiona la storia – la sua comprensione e la sua esposizione – a misura di bambino, il quale ingenuo com’è, vede quei fatti subiti dal padre ma li capisce soltanto in parte. Si è detto ridimensionare, però ciò non significa minimizzare un fatto, ma cambiare il punto di vista. L’idea è sicuramente interessante e già ampiamente sperimentata (Io non ho paura, Il bambino con il pigiama a righe, per fare solo due esempi), però Padrenostro delude con un carattere cinematografico confuso e fin troppo romanzato.

Che il punto di vista sia quello del bambino (Mattia Garaci) diventa evidente nella prima parte del film: quando parla suo padre (Pierfrancesco Favino), in un primo piano vediamo lo sguardo del bambino che lo ascolta ammaliato; se il bambino esce dalla stanza la macchina da presa lo segue, come se fosse l’unico personaggio degno di attenzione. Quello che appare interessante di questo punto di vista è la ristrutturazione della storia: le mancanze narrative sono dovute all’ingenuità del punto di vista del protagonista. Noce calca la mano e azzarda: la scena dell’attentato è vista dall’alto, perché mentre il bambino è in casa sente degli spari e si affretta ad affacciarsi al balcone. Di seguito a questa scena abbiamo il primo di una lunga serie di inceppamenti nel racconto, infatti il bambino si affretta a scendere in strada per soccorrere il padre e vediamo una scena al rallentatore.

Il motivo è semplice: la preoccupazione del figlio verso l’incolumità del padre è tale che quei momenti concitati appaiono dilatati dalla preoccupazione. Il problema è che visivamente è una soluzione artificiosa, oltre a rappresentare un altro attrito: tali riprese, che si presenteranno di frequente durante il film, sostituiscono malamente un racconto che forse avrebbe voluto più consistenza e introspezione. Questa surrogare diventa evidente in una scena in particolare: quella in cui il bambino torna a scuola e, dopo il saluto ai compagni, lo vediamo improvvisamente solo in classe mentre guarda in macchina e quest’ultima si allontana con un carrello. Quindi una scena che non fa parte del racconto ma rappresenta lo stato d’animo del personaggio. Il significato forse è fin troppo didascalico (si sente solo nonostante sia circondato dai compagni), quindi appare come una soluzione forzata e furba.

Le riprese inappropriate sono diverse (inquadrature controluce grossolane, movimenti di macchina vorticosi, soggettive fuori luogo) per quello che presto appare come un film che soffre di una scrittura confusa che disorienta la persona spettatrice. Le cose peggiorano nella seconda parte, quando Padrenostro ancora una volta parte da un’idea interessante per sfruttarla in malo modo. Il bambino infatti conoscerà un ragazzino (Francesco Gheghi) che prima ha dei tratti ambigui e poi funzionerà come una sorta di espediente narrativo di una scrittura sempre più confusa, così tanto che a un certo punto le forzature vengono a stancare. Guardando Padrenostro si ha l’impressione che manchi la motivazione che abbia spinto Noce a raccontarci un fatto così personale. Per questo a un certo punto ci si infastidisce perché dietro al linguaggio macchinoso c’è una storia vaga e superficiale che, impossibilitata nel capire cosa provi un bambino in una situazione così drammatica, tenta di immaginarselo, non riuscendo però a costruire un racconto coerente.

Resta interessante l’idea di ignorare la complessità di certi fatti storici per concentrarsi su altri aspetti degli stessi, in questo caso il rapporto padre-figlio e la loro incomunicabilità quasi caratteristica dell’Italia degli anni settanta, però non bastano gli sguardi ammaliati del bambino per raccontare il suo rapporto con il padre, così come certi dialoghi non riescono a colmare le lacune narrative («Perché non ti basto io?», chiede la madre; «Perché tu non sei papà», risponde il figlio). La paranoia, l’insicurezza, l’ossessione, la paura, sono sensazioni che vengono sfiorate dai personaggi di Padrenostro ma non vengono mai capite, o peggio, comunicate allo spettatore. Questo aspetto rende il film ermetico, oltre che lungo e confuso.

Il film è disponibile in streaming su Amazon Prime Video.

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