
«Il mondo sta cambiando. La verità sta scomparendo. La guerra sta arrivando». Questa è l’apocalittica profezia all’inizio di Mission: Impossible – The Final Reckoning (trailer) il nuovo e ultimo capitolo della trentennale saga spy-action che vede Tom Cruise nei panni dell’eroe Ethan Hunt. Come è chiaro dalla minacciosa premessa, la posta in gioco stavolta è più alta che mai: una misteriosa Intelligenza Artificiale, l’Entità, è sul punto di prendere il controllo dei più grandi arsenali militari sulla Terra e causare un disastro atomico globale. Essa vede tutto, sente tutto, sa tutto: non esiste un futuro possibile che non abbia già previsto. Dalle scelte di Ethan, anche dalle più piccole, dipende dunque l’impresa di riuscire a catturare e distruggere il nemico invisibile.
Il personaggio di Tom Cruise, infatti, stavolta viene ritratto sotto una luce diversa: Ethan è un prescelto e salvare il mondo è il suo fato. Su quest’idea di predestinazione fa leva l’antagonista digitale, tentatrice e demone del dubbio, che prova a fare suo il più grande eroe del pianeta. Mentre ogni forma di verità tecnologica viene manipolata dall’Entità e il mondo sprofonda nel caos, l’ex agente dell’IMF si trova così a dover decriptare sé stesso e il suo ruolo indispensabile al destino del mondo. Questa retorica del prescelto, assolutamente inedita per la saga, non è del tutto casuale. The Final Reckoning, in quanto capitolo finale, vive di un fortissimo spirito autocelebrativo che costringe l’opera a passare in rassegna tutte le più grandi imprese della carriera di Ethan Hunt. È ormai chiaro dunque, provando a gettare l’occhio oltre lo schermo, che quella dell’agente Hunt non è altro che una sottilissima maschera: Cruise, da sempre attore, produttore e stuntman, è l’unico vero protagonista. Mission: Impossible è la sua fantasia, il film il suo luna park. Il grande pubblico ne è ben consapevole da almeno vent’anni, ma il film stesso oggi lo dichiara apertamente: Tom è Ethan, Ethan è Tom.
Questa passeggiata lungo il viale dei ricordi, tuttavia, mette in risalto alcuni elementi critici del film. Un’enorme attenzione è riservata a flashback e cameo, ma lo spazio necessario non è invece concesso allo sviluppo di personaggi empatici e di un intreccio sempre del tutto credibile. È molto frequente, nel corso di quasi tre ore, l’impressione che si stia guardando qualcosa di assolutamente superfluo alla storia. Non è un azzardo dire che alcuni dei personaggi, che sono inutilmente tantissimi, siano al limite del filler, del tutto inutili e inconsistenti a livello narrativo. Di contro, la Grace di Hayley Atwell, il Benji di Simon Pegg e il Luther di Ving Rhames, come al solito, si dimostrano nuovamente presenze assolutamente piacevoli e ben inserite nel contesto.

Il mancato equilibrio tra alcuni elementi del dramma e una vicenda che impedisce ogni forma di dialogo e di telecomunicazione rapida, condannano molte volte lo sviluppo della trama a verbosi racconti e spiegazioni. È facile dunque che l’interesse cali in certi momenti, nell’attesa che Ethan si cimenti nella prossima folle acrobazia. A tal proposito, le scene d’azione sono come sempre motivo di tensione e pathos smisurati. Tom Cruise si lancia ancora una volta in missioni claustrofobiche, pericolose, disumane (in particolare le sequenze subacquee), che forse stavolta sfiorano i limiti della credibilità, ma poco importa mentre si è troppo impegnati a sperare che l’agente Hunt riesca nella sua impresa finale. La regia di Christopher McQuarrie, che accompagna la saga sin dal suo quinto capitolo, è volontariamente confusa, stralunata, e rende al meglio la tensione dei momenti più delicati. Inquadrature sghembe e un montaggio a volte disordinato immergono l’opera in un’atmosfera allucinatoria, restituendo bene l’idea che il mondo stia perdendo il controllo sulle sue verità e stia precipitando in un terrificante vuoto ideologico.
Di fatto, rimane questo l’aspetto più affascinante di Mission: Impossible – The Final Reckoning (e del suo prequel Dead Reckoning): un antagonista immateriale che riesce senza alcuna difficoltà a mettere in crisi il sistema conoscitivo dell’uomo del ventunesimo secolo. Controllando tutti i metodi e i dispositivi di difesa, comunicazione, informazione, una tecnologia nella quale l’umanità è completamente assorta, l’Entità mostra come l’equilibrio socio-politico mondiale affondi le sue radici in un terrificante nulla di fondo. Nel momento in cui un essere “superiore” riuscisse ad impossessarsi totalmente dello strato tecnologico che obbligatoriamente intercorre tra gli individui della società contemporanea, dell’uomo non resterebbe null’altro. Il pericolo dunque non sta tanto nell’assenza di privacy o nell’impossibilità di comunicare in modo affidabile. Qualora lo scenario del film dovesse verificarsi per davvero, gli esseri umani sprofonderebbero nell’abisso della collettivizzazione del pensiero, dell’unificazione delle menti.
È inevitabile pensare che Mission: Impossible – The Final Reckoning non sia la conclusione perfetta per la storica saga di Ethan Hunt, e nemmeno quella che in fondo meriterebbe. Un intreccio non ben congegnato e una quantità davvero fuori scala di elementi superflui rendono inutilmente complicata una storia che avrebbe potuto essere facilmente più comprensibile, e dunque più epica ed emozionante. Tuttavia, Tom Cruise trionfa nelle acrobazie più spettacolari che Mission: Impossible abbia mai visto ed è irresistibile la tensione che piomba nei momenti in cui si ha l’impressione che il mondo stia davvero finendo. Il capitolo finale della saga non sarà del tutto soddisfacente, ma ci invita a guardarci intorno in cerca di certezze e di garanzie, lasciandoci un monito importante: la fine è sempre dietro l’angolo.
Al cinema dal 22 maggio.