L’universo di Wes Anderson: la magia nell’artificio

Un'analisi dell'universo di Wes Anderson Dasscinemag

A pochi giorni dall’uscita di La Trama Fenicia (trailer), si torna a parlare di Wes Anderson, che presenta a Cannes un nuovo lungometraggio dopo Asteroid City (2023). Già dalle immagini e dai video rilasciati, è facile riconoscere nella pellicola la paternità di Anderson. Infatti, il regista ha creato un universo visivo riconoscibile, che sembra collegare tutti i suoi personaggi, pur raccontando storie indipendenti. Ciò è possibile grazie alla riproposizione di elementi ricorrenti nella produzione filmica del regista, che contribuiscono a definire la sua personalità autoriale. Il suo stile è diventato talmente riconoscibile e influente da essere definito “Andersonianismo” (Andersonianism), ed è caratterizzato da un uso eclettico di elementi comici e drammatici, una messa in scena altamente curata e una scenografia satura e surreale.

In primo luogo, la riconosciblità del regista è garantita dalla sua appartenenza a tendenze ben definite. Infatti, Wes Anderson viene ascritto al cinema Indiewood. Quest’ultimo prevede l’incontro di elementi indie, come temi poco esplorati e autobiografici, con altri più mainstream, in grado di attrarre gli amanti delle produzioni hollywoodiane. Anche il genere dramedy, prediletto da Anderson, è spesso trattato da questo cinema. Non è un caso che una categoria che unisce gli opposti, come l’Indie e Hollywood, coniughi due generi antitetici, commedia e dramma. Il risultato è uno stile che Lee ha definito, appunto, ambivalent, degli opposti. Così, Anderson ottiene una miscela surreale, che disorienta e sbalordisce lo spettatore. Infatti, sullo schermo si alternano sequenze stranianti e slapstick, come l’inseguimento fra Rosenthaler e Cadazio in The French Dispatch (2021), sia momenti di forte drammaticità, come il tentato suicidio di Richie in I Tenenbaum (2001).

Lo straniamento e l’assurdo rimangono costanti nella filmografia di Wes Anderson, ma non impediscono allo spettatore di empatizzare con i personaggi rappresentati. Questo meccanismo ben calibrato fra attrazione e repulsione, empatia e straniamento, è ottenuto bilanciando sincerità e ironia. Tali elementi sono tipici della New Sincerity, corrente che coniuga l’ironia dell’epoca post-moderna, alla nostalgia per sentimenti sinceri e incontaminati. Probabilmente è anche per questo che i personaggi delle pellicole di Anderson sono spesso tristi e disorientati fra questi due poli opposti. Mentre molti degli adulti vorrebbero tornare alla purezza dell’infanzia, come ne I Tenenbaum e Il Treno per il Darjeeling (2007), i bambini si scontrano con il cinismo del mondo adulto, come in Rushmore (1998) o Moonrise Kingdom (2012). Tutti questi elementi stabiliscono un tono quirky, strambo – un aggettivo che all’estero viene spesso affibbiato anche a Nanni Moretti.

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L’aspetto del cinema del regista in cui la sensibilità quirky emerge più chiaramente è l’estetica. Infatti, la messa in scena satura di oggetti vintage, fuori dal comune, e le inquadrature insolite colpiscono immediatamente l’occhio dello spettatore. L’atmosfera surreale e straniante determinata da queste tecniche contribuisce a creare un tono ironico e a porre distanza rispetto al pubblico, per cui ben si adatta ai temi adottati da questi film. Soprattutto, la cura maniacale degli ambienti e l’attenta costruzione delle inquadrature, con visioni simmetriche o dall’alto, sono diventati dei veri e propri marchi di fabbrica per Wes Anderson.

La filmografia del regista texano denuncia apertamente la sua artificialità. Per questo, la messa in scena è irreale, mentre le inquadrature palesano l’esistenza della macchina da presa. Ne sono un esempio i dollhouse shot, che rappresentano gli interni delle abitazioni come case per bambole, attraversando le stanze in sezione. L’apice dell’artificiosità si è toccato con alcune delle ultime produzioni: in Asteroid City, il narratore esterno si mostra per sbaglio al pubblico, si alterna il bianco e nero con riprese a colori e sono inserite sequenze in stop motion; in La Meravigliosa Storia di Henry Sugar (2023) i cambi di set avvengono a vista, si mostra addirittura il trucco della levitazione. In questo, Wes Anderson è pienamente autoriale, in quanto il suo cinema parla di cinema, si mette in mostra e commenta il suo contenuto. È qui che l’ironia della New Sincerity torna funzionale, come commento all’opera, invito alla riflessione.

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Visivamente, nulla è più riflessivo dell’impiego della simmetria, dove un lato dell’inquadratura viene duplicato da quello opposto. De la Prida include questo tipo di costruzione nelle modalità di mise-en-abyme impiegate da Wes Anderson. Questa strategia, la “messa in abisso”, prevede l’utilizzo di un gioco di specchi nelle pellicole, che possono commentare sé stesse adottando un approccio meta-cinematografico. Ma questo non è l’unico modo in cui la macchina da presa svela la propria presenza al pubblico. Sono altrettanto efficaci le inquadrature dall’alto, perpendicolari al piano, utilizzate spesso per introdurre oggetti rilevanti per i protagonisti. Ad esempio, permettono di mostrare in dettaglio frammenti di testo, tanto cari al regista, che rappresenta così un giornale che preannuncia venti di guerra in Grand Budapest Hotel (2014).

In ultimo, sono tipici della regia di Wes Anderson gli sguardi in camera, secondo una costruzione a tableau, curata e statica. Questo tipo di inquadratura ricorda le foto, per l’impassibilità dei personaggi, e il teatro, per l’adozione di un punto di vista frontale. Soprattutto, abbatte la quarta parete, chiamando direttamente in causa il pubblico, catturato in un gioco di sguardi. Nonostante il riferimento allo spettatore, questo tipo di rappresentazione non favorisce l’immedesimazione, risultando addirittura straniante per la rigidità della messa in scena. Così come anche per la simmetria e le inquadrature dall’alto, la costruzione a tableau sembra funzionare principalmente da punteggiatura, interrompendo il fluire della narrazione per svelare l’artificialità del racconto. L’adozione di queste strategie, pur rendendo inconfondibile lo stile del regista, rischia però di sacrificare l’emotività, rendendo più difficile un legame empatico tra pubblico e protagonisti.

Nonostante lo straniamento ricercato, Wes Anderson riesce a commuovere con i suoi racconti. Ciò è il risultato di una tecnica ben consapevole. Infatti, è stato osservato che nelle scene di climax la regia assume strategie più convenzionali, così da non allontanare lo spettatore. Il pubblico può riconoscere le modalità di rappresentazione tradizionali e concentrarsi sul contenuto emotivo della narrazione. È il caso dei primi piani, usati di frequente nelle scene di maggiore tensione, o dell’utilizzo di musiche pop familiari, che aiutano a stabilire il giusto tono emotivo. Questo avviene, ad esempio, quando il protagonista di Le Avventure Acquatiche di Steve Zissou (2004) incontra per la prima volta Ned, il figlio che non sapeva di avere: la loro conversazione è ripresa lateralmente, in modo tradizionale, accompagnata in sottofondo dalle note di Life On Mars?.

Se la regia permette di dare un ordine a ciò che viene rappresentato, questo è particolarmente vero per nel caso di Wes Anderson. Infatti, le strategie appena illustrate possono essere interpretate come un tentativo di razionalizzazione, ricostruzione ordinata di una realtà caotica e sfuggente. Ciò risulta evidente nell’analisi della messa in scena: i set del regista sono carichi di ninnoli sorprendenti ben disposti nelle inquadrature, in profondità di campo e panoramiche. Per questo, il cinema di Anderson può essere definito “da collezionista”. La mano ordinatrice del regista dà un senso ad ogni elemento dell’affollata scenografia, così che possa assumere nuovi significati.

Gli oggetti contribuiscono a delineare la personalità di chi li possiede, come le pesanti valigie dei fratelli Whitman ne Il Treno per il Darjeeling, che rappresentano il loro ingombrante bagaglio emotivo. Inoltre, la scenografia sovraffollata assume un’ulteriore valenza se letta alla luce dei temi prediletti dal regista. I suoi protagonisti devono spesso affrontare il trauma dello spaesamento e della perdita, in particolare della famiglia (ad esempio, in Il Treno per il Darjeeling, Le Avventure Acquatiche e I Tenenbaum). Questo accumulo compulsivo diventa quindi la manifestazione concreta dell’horror vacui, la paura del vuoto lasciato dalla mancanza di punti di riferimento. La messa in scena controllata e ordinata rappresenta dunque una forma di controllo sul mondo circostante.

Il risultato di questa attenzione per i dettagli è uno stile inconfondibile. Wes Anderson crea così un mondo artificiale, finto ma mai falso. Attraverso i colori pastello e le collezioni inusuali, lo spettatore può intravedere la grande cura del regista per la sua arte. È il sintomo di un amore per il cinema che supera l’esercizio manieristico.

Fonti

Warren Buckland, “Wes Anderson: a ‘smart’ director of the new sincerity?“, New Review of Film and Television Studies, 10:1, 1-5, 2012.

Rubén de la Prida, (2022) “Mise-en-Abyme as Narrative Strategy in the Films of Wes Anderson“, Quarterly Review of Film and Video, 39:8, 1767-1786, 2022.

Donna Kornhaber, Wes Anderson, Urbana, University of Illinois Press, 2017.

Sunhee Lee, “Wes Anderson’s ambivalent film style: the relation between mise-en-scène and emotion“, New Review of Film and Television Studies, 14(4), pp. 409–439, 2016.

James MacDowell, “Wes Anderson, tone and the quirky sensibility“, New Review of Film and Television Studies, 10(1), pp. 6–27, 2011.

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