L’eroe dalle mille ombre. Double Indemnity secondo Christopher Vogler

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Introduzione

Sicuramente uno dei film noir, nonché uno dei film di Billy Wilder, più amati – e di conseguenza più visti, commentati, sviscerati – è La fiamma del peccato. Tuttavia, chi si accinga a leggere questo breve saggio, non deve temere di imbattersi (se non in parte) in affermazioni già ripetute, viste e stantie. Infatti, in questa sede, ci si propone di leggere questo classico film sotto una nuova luce interpretativa: ovvero analizzandolo in relazione alla struttura de Il viaggio dell’eroe di Christopher Vogler[1].

Il testo in questione è uno dei manuali di sceneggiatura cinematografica più apprezzati ed utilizzati dagli sceneggiatori americani e non solo. Il libro di Vogler però, come egli stesso sostiene in più di un’occasione[2], non è solamente un manuale di sceneggiatura cinematografica. Il viaggio dell’eroe offre, a mio parere, degli strumenti per visualizzare plasticamente “le storie”. Vogler racconta, infatti, una storia archetipica, dividendola in fasi archetipiche, e presentando personaggi archetipici. Ciò lo rende particolarmente adatto, rispetto ad altri manuali di sceneggiatura più validi sotto altri aspetti, per analizzare anche opere narrative diverse da quelle cinematografiche.

Tale approccio mi sembra assai proficuo poiché Double Indemnity è tratto da un omonimo romanzo a puntate di James M. Cain (tradotto in italiano come La morte paga doppio), e alla sceneggiatura partecipò Raymond Chandler. Queste circostanze diedero vita ad un capitolo particolarmente significativo del complesso rapporto tra romanzo, sceneggiatura e adattamento.

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Il «Viaggio» inizia con un tram

Come chiunque abbia visto La fiamma del peccato sa bene, l’inizio del film – e così la sceneggiatura – non coincide con l’inizio della storia: abbiamo invece un attacco in medias res, che ci presenta la vicenda già in prossimità della sua fine – o, per utilizzare un’espressione di Aimeri, un teaser[3]. «It is night, about two o’clock, very light traffic.», recita l’incipit della sceneggiatura. La primissima immagine della pellicola, sulla quale si dissolvono i titoli di testa, non è presente nella descrizione che la sceneggiatura fa di questa prima sequenza, e si tratta probabilmente di un’intuizione visiva del regista Billy Wilder. È presente in primo piano un cartello recante la scritta: “LOS ANGELES RAILWAY CORP.”. Questo particolare rimanda visivamente ad una frase pronunciata dal personaggio di Barton Keyes (Edward G. Robinson), ovvero: «They’ve committed a murder and that’s not like taking a trolley ride together where each one can get off at a different stop. They’re stuck with each other. They’ve got to ride all the way to the end of the line. And it’s a one-way trip, and the last stop is the cemetery.». Lo stesso Vogler sottolinea l’importanza dell’immagine iniziale, nel caratterizzare anche il resto della pellicola: «L’immagine iniziale può essere uno strumento potente per creare un’atmosfera e suggerire la direzione della storia. Può essere una metafora visuale che, in una sola inquadratura o scena, evoca il Mondo straordinario del secondo atto, i conflitti e i dualismi che si presenteranno.».

L’«Eroe» fra due «Mondi»

Il “viaggio dell’eroe” di Walter Neff (Fred MacMurray) si apre con l’assicuratore che giunge a Casa Dietrichson. E già qui, ci sarebbe un mondo di cose da dire. Intanto, credo che possiamo porci una domanda: Walter Neff è un «Eroe»? Se alla parola “eroe” diamo il significato comunemente inteso, allora la risposta sarà quantomeno “non proprio”. Ma – come emerge dal Manuale di Vogler – il dualismo interiore è una caratteristica fondamentale del protagonista di una storia. Lo stesso collaboratore di Wilder dell’epoca, Charles Barckett, si tirò fuori dal progetto temendo che la storia fosse troppo oscura. Eppure Wilder e Chandler riescono ugualmente, a mio parere, a dotare il protagonista della loro storia delle caratteristiche proprie dell’«Eroe» vogleriano. Riusciamo a guardare la storia dal suo punto di vista, ad identificarci (almeno quel tanto che basta) con lui, e a parteggiare per lui. Come si vedrà anche più avanti, i suoi difetti e le sue virtù sono universali. Il suo arco di crescita e trasformazione è ampio. Alla fine sacrificherà ciò per cui aveva lottato, e affronterà la morte. Tutte caratteristiche, per Vogler, dell’«Eroe».

Va notato che in questo Walter Neff si differenzia dai tipici eroi chandleriani (esemplificato da Philip Marlowe), che pur essendo apparentemente «antieroi» secondo la terminologia di Vogler, ovvero cinici e feriti, agiscono solitamente da eroi convenzionali.

Dunque il nostro Eroe si appresta a lasciare il «Mondo Ordinario», e ad entrare nel «Mondo Straordinario» di casa Dietrichson. Il «Mondo Ordinario» in questo caso non viene presentato ma, potremmo dire, ce ne viene dato solo un sentore nelle ultime frasi pronunciate da Neff nella scena A-11, prima della dissolvenza e dell’inizio della sua voice over: «It began last May. About the end of May, it was. I had to run out to Glendale to deliver a policy on some dairy trucks. On the way back I rememebered this auto renewal on Los Feliz. So I decided to run over there.». Semmai, un piccolo assaggio del «Mondo Ordinario» di Neff, ci verrà dato nella sequenza successiva, ambientata nella sede dell’agenzia di assicurazioni per la quale lavora, sebbene in realtà in quella sequenza sia già in parte entrato nel «Mondo Straordinario».

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L’eroe affronta il guardiano della soglia

Ma procediamo con ordine. Vogler descrive il coinvolgimento dell’«Eroe» nell’Avventura, e di conseguenza il suo ingresso nel «Mondo Straordinario», come il «Superamento di una soglia»: «Numerosi film descrivono il limite tra due mondi con l’attraversamento di barriere materiali come porte, cancelli, archi, ponti, deserti, canyon, muri, scogliere, oceani o fiumi.». Anche Walter Neff, all’inizio del suo «Viaggio», attraversa una porta. Più precisamente, la porta di casa Dietrichson, che nella scena A-14 della sceneggiatura è descritta in modo piuttosto minuzioso, lasciando intravedere la mano di Chandler. Si tratta di una vera e propria porta fisicamente intesa.

«Quando vi avvicinerete alla soglia», prosegue Vogler, «incontrerete probabilmente esseri che cercheranno di sbarrarvi la strada. Sono i Guardiani della soglia, un archetipo potente e utile.». Nel film, si può verificare come anche Neff debba affrontare un «Guardiano della soglia», ovvero la cameriera di Casa Dietrichson che vorrebbe impedirgli di entrare. Il corrispondente in sceneggiatura è la frase «He pushes past her into the house.», sempre al punto A-13.

Vogler, nel definire la «Chiamata all’Avventura», recita: «L’Eroe può essere chiamato all’avventura da una tentazione, come il fascino di una vacanza esotica o l’incontro di una nuova compagna. Potrebbe essere il luccichio dell’oro, le voci su un tesoro nascosto, le sirene dell’ambizione»; nel caso del nostro «Eroe» le tentazioni che lo chiamano all’avventura sono principalmente due, come egli stesso afferma: «I killed him for money – and a woman – and I didn’t get the money and I didn’t get the woman.».

Questa celebre frase si trova all’inizio del lungo racconto di Neff, nella sezione A-11 della sceneggiatura, ma non appartiene né a Chandler né a Wilder, se non per metà: è stata infatti ripresa dal romanzo, dove suona così: «Avevo ucciso un uomo, per soldi e per una donna. La donna era un’assassina in piena regola, e si era fatta gioco di me.». Mi sento di poter azzardare che la resa finale in sceneggiatura, si deve a quella grande abilità di Chandler di scrivere frasi intrise di questa strana poesia, che lo stesso Wilder gli riconosceva.

Si deve invece a Wilder, probabilmente, quella eccellente trovata che sintetizza visivamente quanto esplicitato nella bella frase di Cain/Chandler/Wilder, e nella citazione di Vogler: «On her left ankle a gold anklet.», come è descritta nella scena A-15 della sceneggiatura. La cavigliera d’oro vista nel film si potrebbe definire un vero e proprio correlativo oggettivo della «Chiamata all’Avventura», visto che sostituisce, in una modalità filmicamente rappresentabile, l’insieme di pensieri, angosce e tentazioni che Cain nel libro mostra narrativamente.

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La chiamata all’avventura

Libro nel quale, più che sulla motivazione erotica e quella finanziaria, forse temendole insufficienti, Cain inserisce una sorta di forza irrazionale che sospinge Walter Neff irresistibilmente verso il delitto («Guardai le fiamme per un momento. Dovevo troncare finché ero in tempo, lo sapevo. Ma dentro di me c’era quella cosa, che mi spingeva sempre più verso l’orlo»), e sull’aspetto professionale («Allora io sono un agente. Sono un croupier di quel gioco […]. Mi metto a pensare che quella ruota potrei imbrogliarla io […]. Con Phyllis avevo trovato il mio compare»). La sceneggiatura de La fiamma del peccato, dando maggiore importanza ai fattori erotico e finanziario, si fa prototipo di due che sarebbero stati aspetti fondamentali del genere noir[4].

«I love you too, Keyes»

Il «Mentore» (o come lo chiama Campbell “vecchio saggio”) è un «archetipo [che] si manifesta in tutti quei personaggi che insegnano, proteggono, fanno doni agli Eroi», come afferma Vogler. E colui che ricopre il ruolo del «Mentore» in La fiamma del peccato, a mio giudizio, è Barton Keyes. Ma Keyes, si obietterà, non fa certo da guida a Neff nel suo piano omicida; è, semmai, il suo avversario, colui che può mandare a monte i piani del protagonista. Io credo, però che si possa ravvisare in Keyes la figura di un «Mentore Suo Malgrado», che non è un vero e proprio archetipo codificato da Vogler, ma una possibilità cui accenna. In fondo, poco più avanti precisa: «Insegnare è la funzione chiave del Mentore»: ed è Keyes ad insegnare, indirettamente e per scopi ben diversi, a Neff ciò che c’è da sapere per frodare l’assicurazione e farla franca. Abbiamo un assaggio dell’apprendistato di Neff (insieme a un assaggio di «Mondo Ordinario» dell’assicuratore) al punto A-34 della sceneggiatura. E se ne ha una riprova in una battuta di dialogo della scena A-46: «I’ll tell you would be like, if you had that accident policy, and tried to pull a monoxide job. We have a guy in our office named Keyes […]», Neff ammonisce Phyllis. È evidente che cerca di pensare come Keyes, come un allievo che ha memorizzato gli insegnamenti del maestro ed è desideroso di metterli in pratica (ci si può intravedere il rapporto che intercorreva fra lo stesso Wilder ed Ernst Lubitsch[5]). E a più riprese, nel corso della sceneggiatura, sembra che la principale preoccupazione del protagonista sia superare Keyes in astuzia, o il giudizio di quest’ultimo. Neff (o meglio Wilder e Chandler) opererebbe insomma una “distorsione del Mentore”: ma, tutto sommato, questo è un film per molti versi atipico rispetto al Film Hollywoodiano Classico[6], e queste distorsioni non devono sorprendere.

Ma c’è di più: Vogler fa riferimento a come spesso l’«Eroe», per superare le Prove che trova lungo il suo cammino, debba confrontarsi con una figura genitoriale. Questo passaggio ha un forte connotato psicologico, in quanto rappresenta una sorta di affrancamento del protagonista da una sudditanza genitoriale, e da alcuni limiti e nevrosi che da questa possono derivare. Mi sembra perciò rilevante notare che la tematica familiare, sebbene non mi pare sia stata esplorata dalla critica, è di una certa rilevanza nella sceneggiatura de La fiamma del peccato[7]. La famiglia Dietrichson è presente non solo come mero movente per l’omicidio, ma è una vera e propria figura centrale della sceneggiatura: così come lo è quella casa così ben descritta da Chandler, e che potrebbe essere una sorta di altro correlativo oggettivo. Sin dal primo incontro di Phyllis e Walter, nel dialogo aleggiano costantemente parole come “Mrs” e “husband” che rimandano al matrimonio, e una delle prime cose che Neff nota nel soggiorno di casa Dietrichson, nella sezione A-25 sono «On the piano, in couple of francy frames, […] Mr. Dietrichson and Lola, his daughter by his first wife.».

Secondo me qui lo schema vogleriano, allargato di prospettiva, ci suggerisce che la «Prova Centrale» di Neff – che superficialmente si può pensare che sia l’omicidio per intascare il premio dell’assicurazione – consiste in realtà nell’uccidere la sua figura paterna, ovverosia Barton Keyes. Peraltro una volta superata quella Prova, sembra volersi in qualche modo sostituire alla vittima, assumendo un atteggiamento paterno nei confronti della figlia (e già prima si stava sostituendo a lui come partner della moglie). Senza contare che sembra voler rinunciare quasi da subito al suddetto premio adducendo scuse. Infine, volendo azzardare un’interpretazione forse fin troppo audace, anche il «little man» che Keyes afferma più volte di avere nella pancia, rimanda alla genitorialità.

In conclusione, vorrei far notare come anche Keyes lanci a Neff una «Chiamata all’avventura», nella scena B-16 della sceneggiatura, nella quale gli offre una promozione, e la possibilità di diventare suo socio, fornendogli quindi la possibilità di scegliere fra due diverse chiamate. Il «Rifiuto della Chiamata» è una tappa del Viaggio contemplata da Vogler. Neff inizialmente rifiuta sia la chiamata di Keyes che quella di Phyllis, ma alla fine accetta quest’ultima.

Conclusione

Come emerge da questo saggio, la sceneggiatura di La fiamma del peccato è davvero ricca, a tutti i livelli: visivo, simbolico, drammaturgico, dialogico etc. Spero di aver portato a conclusione buona parte dei ragionamenti aperti, nonostante con un film come questo un andamento dell’analisi un po’ frastagliato sia, a mio avviso, inevitabile. Il principale scopo che mi prefiggevo – dimostrare come leggere la sceneggiatura di Double Indemnity attraverso la lente del Viaggio dell’eroe sia un esercizio proficuo – mi pare abbia dato qualche risultato. Ma, naturalmente, sono i lettori a dover giudicare.


[1] C. Vogler, Il viaggio dell’eroe, Dino Audino, Roma, 2010

[2] «Il viaggio dell’eroe si proponeva come una guida pratica per gli scrittori, ma può essere letto anche come una guida alle lezioni della vita attentamente costruite nelle storie di tutti i tempi.» (C. Vogler, Il viaggio dell’eroe)

[3] «Una sequenza di apertura della durata di cinque minuti, tesa ed eccezionale» (L. Aimeri, Manuale di sceneggiatura cinematografica, cit.)

[4] Basti vedere l’altro grande noir di Wilder Viale del tramonto.

[5] Tanto che teneva una foto di Lubitsch sulla sua scrivania, con la frase “Fallo come lo farebbe Lubitsch!”.

[6] Come è atipico in quel contesto il noir tout court.

[7] Tematica di grande rilevanza peraltro in tutta la produzione chandleriana: si pensi a Il grande sonno, per esempio.

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