“Quo vado? All’Unesco!”, intervista a Lino Banfi

“Quo vado? All’Unesco!”, intervista a Lino Banfi

Caro Lino Banfi, adesso rappresenti grazie alla volontà di Luigi Di Maio l’Esecutivo nella Commissione Italiana per l’Unesco, in quale tipo di attività ti stai impegnando in merito a questo ruolo?

Intanto noi nuovi membri (o commissari, la parola ‘membro’ non mi piace) non ci siamo ancora riuniti! Sono onorato di questo incarico ma anche abituato perché il Commissario l’ho già fatto in parecchi film, come in Fracchia la belva umana dove interpreto il Commissario Auricchio che tutti ricordate. Adesso aspettiamo di riunirci per consolidare il ruolo del Nonno, per far sì che questo abbia una figura più ‘sostanziosa’ agli occhi del mondo. Ora come ora sono il Nonno d’Italia, dell’Unicef, dei 1500 ragazzi di San Patrignano, e anche dell’Unesco, quindi sento questo onere, ovvero quello di tutelare l’immagine del Nonno. Anche per far in modo che quelli della tua età (perché sei giovane) siano stimolati a fare figli e avere un futuro in modo che questa figura non muoia mai. Se non si fanno più figli non si avranno neanche nipoti e io spero di non dover assistere a tutto questo, a questa ‘morte’ dei nonni. Ma il problema che mette da parte il Nonno non è solo questo. Ad esempio Grillo, comico e monologhista che stimo tantissimo e che ho sempre invidiato, ha detto una stronzeta a riguardo, ovvero che gli Over 60 non dovrebbero avere più il diritto al voto… Ovviamente si è trovato contro tutti quelli di una certa età.

Ultimamente ti sei tolto la soddisfazione di recitare nel film più visto per numero di spettatori in Italia degli ultimi anni, ‘Quo vado?’.

Certo, quando Checco Zalone e il regista Nunziante mi hanno proposto la parte inizialmente ho risposto di no. In realtà Zalone neanche lo conoscevo personalmente, pur avendo colto il suo successo. Con il produttore Valsecchi invece avevo già lavorato per i due film della serie Il mio amico Babbo Natale per la televisione, e mentre il produttore stava festeggiando una sera in occasione dell’esorbitante incasso di Sole a catinelle, io ho telefonato per parlare con Paola Comin, ufficio stampa di quel film (e in passato di attori come Sordi, ecc…). Volevo soltanto fare un saluto a Valsecchi. Nel bel mezzo della festa lei dice ad alta voce ‘c’è Banfi al telefono!’ e Zalone sentendo grida ‘Linooo, madonna benedetta!’ cominciando ad imitare la mia voce, e mi hanno detto che si è addirittura inginocchiato con il telefono in mano, sotto lo sguardo stranito di tutti! Mi ha confessato di ammirarmi molto, e di considerarmi il capostipite dei comici come lui dicendomi tra le altre cose ‘vedrai che lavoreremo insieme in un film!’. Infatti tempo dopo lui e il regista sono venuti a casa mia per propormi la partecipazione in Quo vado, e io ho risposto: ‘con tutto il cuore, ma io ho fatto centoventi film e passa da protagonista, non mi interessa una comparsata’ e lui ha insistito ‘Lino, tu hai aperto la strada alla ‘pugliesità’, il tuo piccolo ruolo nel film è come un fil rouge della comicità nel film, lo devi fare assolutamente!’. Alla fine ho accettato, e io stesso dico che ho fatto bene. È stata una cosa molto carina.

“Quo vado? All’Unesco!”, intervista a Lino Banfi
Lino Banfi e Domenico Modugno nel 1968

Come mai nel 1987 abbandoni improvvisamente il cinema per la televisione?

In realtà non è stato un abbandono proprio volontario. Ero impegnato in televisione, ed è capitato che in quel periodo dove la nostra tv di stato perdeva dei personaggi e dei comici poiché passavano a Canale 5, la Rai mi abbia scelto, evidentemente aveva bisogno di me. Si è detta tra sé e sé ‘Lino è capace, sa condurre anche tutta una trasmissione!’. E quindi mi hanno fatto fare Domenica In, Sabato Sera, Stasera Lino e tante altre cose.

Hai avuto sempre una predilezione molto sincera per Domenico Modugno, in una trasmissione televisiva dal titolo “Il caso Sanremo” lo abbracci con grande entusiasmo. Che rapporto hai avuto con lui più nel dettaglio?

Ci eravamo conosciuti quando lui era venuto a vedere un mio sketch d’avanspettacolo attorno al 1965 al Teatro Ambra Jovinelli. Tutti in sala si erano accorti della sua presenza, dal pubblico alle ballerine sentivo gridare ‘Modugno, Modugno!’. Era venuto a farci visita in quanto stava per iniziare una tournée in giro per i teatri italiani e aveva intenzione di prendere la mia compagnia di varietà (nella quale era presente anche Nino Terzo) per affiancarlo nelle serate. Questo giro nei teatri è durato parecchi mesi. Da lì siamo diventati molto amici, viaggiavamo insieme, abbiamo fatto un’altra stagione teatrale tempo dopo. Gli sono stato sempre vicino, anche quando è rimasto paralizzato dopo l’ictus che lo aveva colpito gli ultimi anni. Sono andato a trovarlo a Lampedusa dove voleva insegnarmi a nuotare, e io ‘a chi? ho paura!’ (ride).

Mi piacerebbe molto parlare del tuo rapporto con Paolo Villaggio. Con lui hai recitato in ben cinque film. Quali sono i ricordi più belli del comico genovese che porti?

Era un genio, pensa che ha inventato due personaggi che resteranno per sempre nella storia letteraria, Fantozzi e Fracchia. Maschera stupendamente valida, con le sue pause, le sue smorfie da succube. Una cosa che nessuno ha mai detto di Paolo è che era un cialtrone, però nel senso buono, ovvero che era disordinato, casinista, non rispettava gli appuntamenti e altro… Però aveva una follia geniale. E poi non era invidioso dei colleghi, dava molta libertà all’altro attore, ti lasciava fare tutto, alcune cose del Commissario Auricchio le inventavo io, e lui e il regista che mi guardavano lasciandomi improvvisare. Per quanto riguarda le abitudini non ti dico, nei pasti mischiava le pietanze, dalla trippa alla Nutella. Ma al di là di questo era una figura umana molto divertente su tutti i livelli.

Paolo Villaggio e Lino Banfi in Fracchia la belva umana

Di tutti i film da te interpretati quali sono i tuoi tre preferiti?

Scelgo Vieni avanti cretino, Il commissario Lo Gatto e L’allenatore nel pallone.

Parliamo allora del primo. ‘Vieni avanti cretino’ è uno dei tuoi film più ricchi e divertenti, un vero capitolo conclusivo dell’avanspettacolo sullo schermo. Come è nata l’idea di quel film?

È andata così. Angelo Rizzoli, distributore con la sua mitica Cineriz (produttrice dei film più importanti da Visconti a Fellini) stava tenendo una riunione dove ad un certo punto il padre di Fabrizio Frizzi, direttore generale della Cineriz (e lo sanno in pochi) fa notare questa cosa: ‘tutti a fare chapeau a questi grandi film e intanto non recuperiamo neanche i soldi che spendiamo per girarli, perché sono costosi e difficili. Dobbiamo prendere un attore che incassa con un film che faccia ridere’. E hanno pensato a me… A quei tempi facevo film che costavano poco e incassavano molto. Mi ha contattato Giovanni Bertolucci, il produttore, e il regista Luciano Salce, informandomi che Rizzoli aveva in mente questo film, come distributore ovviamente. Per quanto riguarda il titolo ci è venuto in mente chiedendoci ‘ma la frase che dicono tutti i comici, da Petrolini a Walter Chiari, quando chiamano il comico sulla scena, ovvero Vieni avanti cretino, non potrebbe funzionare?’ Ho dato io gli spunti per tutti gli sketch presenti nel film, provenienti dal mio vecchio repertorio di avanspettacolo. Salce mi aveva portato uno sceneggiatore con il quale metterli a punto, e quindi abbiamo iniziato a girare. Addirittura Salce mi diceva ‘vai avanti e dai lo stop tu, perché io neanche so fin dove arrivi e quando dovrebbe finire la scena!’.

Ne ‘Il commissario Lo Gatto’ si sentono ben quattro canzoni, tre cantate da Peppino di Capri e una da Mimmo di Francia, tutte scritte da lui, tuo grande amico.

Certo! Con Mimmo c’è una bella amicizia quarantennale che ci lega e abbiamo scritto insieme tre canzoni, Carnevale, Piano bar e Nella soffitta, che sono state tutte incise da un ottimo cantante di piano bar, Luciano Bruno.

“Quo vado? All’Unesco!”, intervista a Lino Banfi

Tra i tuoi amici e colleghi di lavoro più affezionati vi sono stati Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Quali sono gli aspetti migliori per descriverli?

Erano delle splendide maschere, e devo così tanto a loro. Ricordo con entusiasmo una trasmissione televisiva dove interpretavamo tre musicisti pazzi senza parlare facendo solo smorfie, uno sketch di otto minuti straordinario! So che in qualche scuola di recitazione lo mostrano come lezione. Ero molto amico di entrambi, abbiamo condiviso molte esperienze di vita. Con Franchi ho persino sostenuto una tournée in America, durante una malattia di Ingrassia. Se avessero avuto più tempo per curare i loro film, e la fortuna di avere un altro tipo di cultura che li avrebbe portati a scegliere meglio i copioni da accettare, avrebbero oltrepassato senza ombra di dubbio i confini nazionali, hanno rappresentato un’importante fetta di cinema nostrano nazional-popolaresco, per come lo chiamo io cotto e mangieto, che sembravano filmettini e ora sono dei cult movies.

Meglio che sia andata così, anche perché da ‘plurilaureati’ non avrebbero fatto ridere nessuno!

Assolutamente no e nemmeno io, che mi sarei tanto voluto laureare in Lecce, o a Bari! Dico “in Lecce” perché amo quella città e allora gioco su questo termine, come a dire in “legge”. Faccio più ridere così, esatto. Tra l’altro sono onorato del fatto che Vieni avanti cretino venga proiettato in una grande clinica della Croazia per far ridere i pazienti, malati di Alzheimer. E ridono così tanto che questi tornano a far muovere i muscoli facciali che ormai non funzionavano più…

Un particolare ringraziamento a Mimmo di Francia

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