Ginny & Georgia, la recensione della prima stagione su Netflix

Ginny e Georgia

Era il 2002 quando debuttava per la prima volta sugli schermi italiani Una mamma per amica (Gilmore Girls), la serie che ha rivoluzionato per sempre la rappresentazione del rapporto madre e figlia sullo schermo. Lorelai e Rory Gilmore ci hanno accompagnati negli anni della crescita, facendoci conoscere ed affrontare grandi temi come l’amore, le relazioni familiari e con gli altri e la crescita personale, il tutto sempre con il giusto tatto. Nel tentativo di aggiornare questo rapporto ai nostri tempi e di ampliare il ventaglio dei temi, è disponibile dal 24 febbraio su Netflix la serie Ginny & Georgia (qui il trailer), ideata da Sarah Lampert.

La quindicenne Ginny (Antonia Gentry) si è appena trasferita dal Texas al Massachusetts per ricominciare una nuova vita insieme a sua madre Georgia (Brianne Howey) e al suo fratellastro più piccolo Austin, dopo l’improvvisa morte del compagno della madre. Seguiremo Ginny e Georgia nelle loro vite; la prima nel suo percorso di crescita in un nuovo liceo dove proverà a costruirsi una vita normale, la seconda nel suo cercare di lasciarsi alle spalle il suo misterioso passato.

I problemi della serie non tardano a farsi notare, primo fra tutti, il voler essere troppe cose insieme senza riuscire ad eccellere – o quantomeno distinguersi – in nulla. La storia ci viene presentata come il classico teen drama con la ragazza che si trasferisce spesso e non riesce mai a piantare le radici da nessuna parte (<<Sono sempre quella nuova>> dirà Ginny). Poi si ha una netta virata verso toni più propriamente comedy quando Ginny conoscerà le ragazze della sua nuova scuola, prima tra tutte Maxine (Sara Waisglass), che diventerà la sua migliore amica. Si cambia ancora direzione verso una dimensione mistery che accompagna il personaggio di Georgia, per poi essere subito dimenticata dagli autori e di conseguenza anche dal pubblico. E si potrebbe continuare ancora con il romance e il thriller fino al dramma più “puro”, senza però riuscire a coinvolgere e ad aiutarci a definire in maniera chiara che cosa stiamo guardando. Quello che ci viene presentato è un crogiolo confusionario ed indifferenziato di generi e registri vari uniti tra loro senza armonia alcuna, risultando semplicemente messi in fila uno accanto all’altro senza omogeneità.

Altro grande problema della serie è il non riuscire ad approfondire adeguatamente i personaggi secondari, e le poche volte in cui ci viene mostrato qualcosa in più della loro intimità viene lasciato in sospeso o subito abbandonato. L’unico personaggio che si salva da questa superficialità (anche se non in maniera particolare) è Maxine, che non ci metterà molto a diventare il personaggio migliore della serie, tanto che ci ritroveremo a fare il tifo per lei più di quanto non lo faremo per Ginny, la quale diventerà sempre più insopportabile.

Lo stesso problema di mancanza di approfondimento lo hanno i temi affrontati: bullismo, razzismo, integrazione, autolesionismo, violenza sessuale, tutto è presente ma trattato approssimativamente ed in una maniera priva di mordente che non riesce a coinvolgere emotivamente. La sensazione che rimane è quella di aver assistito all’inserimento forzato di quante più tematiche possibili nella speranza di raccapezzare qualche ascoltatore in più. Il problema non sta tanto in questa sovrabbondanza di argomenti in una serie (si guardi il grande successo di Euphoria), ma nella mancata scelta di un registro e di un tono preciso da utilizzare.

Probabilmente il problema più grande di tutti, però, è l’estrema prevedibilità della storia. Dopo 10-15 minuti dall’inizio sappiamo già cosa succederà alla fine della puntata, e questo vale per ognuno dei dieci episodi da 50 minuti che compongono Ginny & Georgia. Non un colpo di scena che valga la pena di chiamar tale, non una linea di dialogo che sorprenda, non uno sviluppo di un personaggio davvero interessante o una dinamica che non possa già essere stata immaginata con 20 minuti d’anticipo.

Quindi si tratta di una serie completamente da bocciare? No. Un certo potenziale c’è, davvero. Sotto l’eccessiva sovrabbondanza tematica, l’indecisione nel tono e la prevedibilità estrema della trama e dello sviluppo dei personaggi, ci sono dei buoni spunti che permetterebbero di rivalutare il prodotto. Un adeguato approfondimento dei personaggi secondari e la giusta attenzione a temi davvero sentiti potrebbero essere le fondamenta per la creazione di una seconda stagione più coinvolgente, della quale, se così non fosse, non se ne sentirebbe il bisogno.

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