Fino all’ultimo indizio, la recensione: un film poco coinvolgente e fuori tempo

fino all'ultimo indizio

Nelle curiosità sulla produzione di The little things – Fino all’ultimo indizio (trailer) vi è una in particolare che resta impressa: pare che John Lee Hancock abbia scritto la prima bozza della sceneggiatura nei primi anni Novanta e, dopo trent’anni di tentativi alla ricerca di un regista che se ne occupasse (vagliando nomi del calibro di Spielberg ed Eastwood), ha deciso di dirigere lui stesso il film. Questa informazione colpisce per un aspetto in particolare: credere in un’idea per così tanti anni significa sapere di avere tra le mani una storia interessante da raccontare. In parte è così. Fino all’ultimo indizio è ambientato nel 1990 a Los Angeles. Un ex detective (Danzel Washington) si ritrova immischiato ufficiosamente nell’indagine di un suo giovane collega (Rami Malek) sulla ricerca di un serial killer di giovani donne. L’idea è classica e dietro la trama del film ci sono tutti (o quasi) gli stereotipi del genere, questo però non sarebbe un problema se i cliché venissero usati nel modo giusto. E non è questo il caso.

I due detective protagonisti del film rappresentano due generazioni a confronto, che si differenziano nel modo in cui svolgono le proprie indagini. Washington è un «relitto» tormentato dal proprio passato, tutti lo conoscono e si percepisce che c’è qualcosa che non viene detto volutamente; il film ci mostra puntuali numerosi flashback per arricchire sempre di più il background del personaggio. Malek invece è un poliziotto a cui «piace stare sotto i riflettori», giovanissimo, ha una famiglia amorevole e ha dei modi di lavorare più rigidi. Fino all’ultimo indizio non si sofferma sulle indagini, non è infatti un thriller che si concentra sulla componente investigativa. La sua attenzione è puntata sui personaggi, in particolare quello di Washington, per questo motivo la loro scrittura superficiale pesa particolarmente sulla visione.

È interessante il modo in cui Hancock mostra il tormento di Washington: il detective parla a un cadavere per cercare di ragionare sulle dinamiche dell’omicidio, oppure le ragazze uccise gli appaiono come visioni nella stanza d’albergo; queste idee però sono poche a fronte di un plot piatto e poco coinvolgente. Al film infatti manca l’atmosfera del genere, ovvero quell’inquietudine fondamentale nei thriller noir notturni. Vengono mostrati di sfuggita i luoghi dei delitti, però non ci percepisce lo sgomento; sappiamo che il personaggio di Washington è tormentato perché ce lo dicono gli altri personaggi, invece la scrittura non riesce a costruire con credibilità il suo carattere cupo; vengono citati i bassifondi della città, però gli ambienti del film sono anonimi e mancano di ogni tipo di caratterizzazione.

La previsione sul fatto che l’idea del soggetto fosse interessante arriva puntuale nel terzo atto del film, uno sviluppo forse imprevedibile che però trova uno spettatore ormai stanco da una visione che arranca tra cliché e superficialità. Il potenziale del cast (sono presenti anche Jared Leto, Natalie Morales e Chris Bauer) si perde in una scrittura poco incisiva e una regia che non riesce a costruire un’atmosfera che crei quella suspense fondamentale per il genere. Fino all’ultimo indizio è disponibile in esclusiva digitale per il noleggio e la vendita su Amazon Prime Video, Apple Tv, Youtube, Google Play, TIMVISION, Chili, Rakuten TV, PlayStation Store, Microsoft Film & TV e per il noleggio premium su Sky Primafila e Infinity.

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