Family Romance, LLC, la recensione dell’ultimo film di Werner Herzog

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Dopo l’intervista a Gorbaciov (Herzog incontra Gorbaciov), l’omaggio a Bruce Chatwin (Nomad) e l’affascinante panoramica sul mondo dei meteoriti (Fireball), Werner Herzog torna in Italia per presentare Family Romance, LLC (trailer), film di finzione già presentato fuori concorso a Cannes nel 2019. Un appuntamento importante anche per il lancio di IWONDERFULL, nuova piattaforma on demand nata dalla collaborazione tra MyMovies e I Wonder Pictures (casa di distribuzione “figlia” del Biografilm Festival di Bologna).

La genesi del film risale ad un articolo pubblicato sull’Atlantic nel novembre del 2017, dove Ric Morin (futuro produttore del film con la sua Skellig Rock) intervista Yuichi Ishii, proprietario della Family Romance a cui il titolo fa riferimento. Questa società è molto nota in Giappone, insieme al fenomeno a cui è legata, perché permette ai propri clienti di affittare delle persone – degli attori che possano soddisfare qualsiasi nostra esigenza. Questo fenomeno non poteva non interessare un regista come Werner Herzog, che nel 2018 si è diretto a Tokyo per girare un film sulle vicende che ruotano attorno a questa società, su richiesta proprio di quest’ultima. Girato in poche settimane – nel periodo di fioritura dei ciliegi – il film vede come protagonista lo stesso Ishii accompagnato ad un cast completamente formato da attori non professionisti.

Come afferma Ishii nell’intervista, “l’apparenza è tutto” nel Giappone di oggi ed Herzog con il suo copione sembra concordare con tale affermazione. E questo ci è chiaro sin dalla prima sequenza, dove vediamo l’attore alle prese con il ruolo di un padre che dopo molti anni ritorna a Tokyo per incontrare la giovane figlia, Mahiro. Il tempo che i due passeranno assieme è scandito dalle foto che Mahiro scatterà al suo finto padre con lo smartphone o che i due decideranno di scattarsi in una cabina per fototessere, tra mille filtri con cuoricini ed emoticon. A fare da controcampo a queste scene ci sono però i folgoranti primi piani che Herzog dedica alla ragazza (e in seguito anche agli altri protagonisti), dove il regista sembra cogliere le sfumature di un passato colmo di gioie e di dolori. Insomma, c’è ben altro rispetto alla semplice menzogna, che emerge unicamente attraverso questa duplice funzione alla quale assistiamo: una per via della Family Romance, l’altra per via di Herzog stesso.

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Tutto ciò però avviene attraverso quella che potremmo identificare come una linea che lo stesso regista tiene a non superare. Un confine con il quale fare i conti, per non scadere in giudizi affrettati. Nonostante si tratti di finzione infatti, c’è costantemente la sensazione che non si voglia andare oltre (forse anche perché si tratta di film su commissione), come lascia intendere proprio il finale, che vede un Ishii corroso da dubbi disseminati nel corso del film e dalla difficoltà di far convivere un lavoro del genere con la sua vita privata.

Ma c’è spazio anche per altro in quest’ennesima indagine del regista tedesco. Perché in Family Romance, LLC anche il tema della tecnologia è importante. Ad un certo punto infatti, Ishii si dirige in un “robot hotel” (un hotel dove gli impiegati sono unicamente dei robot) per un colloquio con il direttore. Rinnovando quel quesito cardine di un altro documentario di Herzog – Lo and Behold – ma anche quello più noto di Philip K. Dick, Ishii chiederà al direttore: ”Pensa che in futuro i robot avranno dei sogni?”. Potranno mai sostituirci allora in tutto e per tutto questi robot? Magari eliminando quelle ultime tracce di sofferenza che ci portiamo dietro, quelle ultime tracce che ci legano ai nostri affetti e non ci permettono, come nel caso del nostro protagonista, di essere efficienti? E allora con Herzog ci ritroviamo sempre allo stesso punto, qualsiasi sia l’oggetto del suo (e poi nostro) interesse: quello che importa è l’essenza di ciò che stiamo guardando. Quello spazio situato (forse) oltre l’immagine stessa, come quelle mani impresse sul finale sulla porta di casa di Ishii.

AGGIORNAMENTO: come riporta “New Republic”, l’intervista dell’Atlantic da cui partì tutto e poi diventata anche un approfondito report sul New Yorker, non raccontava una realtà o fenomeno diffuso in Giappone come descritto nel secondo paragrafo, bensì un fake. Nulla di tutto ciò da cui parte Herzog esiste. Qui (https://newrepublic.com/article/160595/new-yorker-japan-rent-family-fabricated) un approfondimento dettagliato sull’indagine.

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