Close Enough, la recensione della serie animata su Netflix

Close Enough

La difficoltà di realizzare una serie animata oggi è sotto gli occhi di tutti. Dopo i precedenti illustri nel genere, abbiamo visto anche le parodie illustri. Poi, quando sembrava che non si potesse andare oltre, abbiamo anche visto un perfetto connubio tra la giusta dose di parodia e uno sviluppo avulso da cliché. Da qui il problema: come bilanciare il citazionismo? Come relazionarsi al meta? Avendo a che fare con un formato simil-sitcom, si rischierebbe più che mai di cadere nel già visto.

E invece, Close Enough (qui il trailer) riesce a trovare un buon equilibrio: lontano dal bidimensionale solipsismo Mcfarlaniano, ma comunque demenziale quanto basta. Gli adolescenti che guardavano i Simpson sono cresciuti: i millennials ora hanno trent’anni e, sorprendentemente, si ritrovano dalla parte dei genitori.

Questa è l’idea alla base di Close Enough: esplorare la genitorialità da un nuovo punto di vista. In particolare, dal punto di vista di una categoria di persone che non si è mai del tutto emancipata dal ruolo filiale. Josh ed Emily, infatti, non devono soltanto smarcarsi dagli errori dei propri genitori, ma anche creare loro stessi dei modelli per la piccola Candice. I due protagonisti si muovono in un mondo nuovo, in cui i ruoli precedenti sono ormai obsoleti e la strada è tutta da costruire.

Ma ovviamente non è questa la forza della serie. Basterebbe menzionare la partecipazione del creatore della serie J.G. Quintel a progetti come Regular Show e Adventure Time per far capire su che onda si muova questa serie.

La demenzialità è infatti il suo punto forte: partendo da una difficoltà oggettiva, le puntate non procedono mai in modo lineare; invece, ecco che sopraggiunge il surreale, ed è sempre in modo surreale che vengono risolti i conflitti.
Ed è proprio questo a conquistare: l’assoluta e meravigliosa stupidità degli sviluppi. Di fronte a una progressiva deformazione del reale non si può che lasciarsi trascinare. Si tratta, dopotutto, di un cartone animato, ed è questo che abbiamo imparato ad aspettarci dai cartoni animati. Fino a un climax assolutamente surreale, che giunge quando è troppo tardi per smettere di guardare, e troppo difficile ricordarsi come ci si è arrivati.

Close Enough si propone certamente di rappresentare una classica famiglia postmoderna, formata da genitori trentenni e immaturi e gli improbabili coinquilini con cui devono dividere l’affitto, ma anche di intrattenere lo spettatore con delle storie folli e interessanti, utili a sdrammatizzare una quotidianità troppo presente. Non ci sono gag autoreferenziali: a portare alla risata è il perfetto connubio tra gli elementi realistici di un formato post-sitcom e lo scivolamento verso l’assurdo stile Adult Swim.

Il risultato è una serie animata divertente ed eccentrica quanto basta – una serie che non è (e non vuole essere) quel tripudio di decostruzionismo che era Rick e Morty, ma che nella propria leggerezza riesce a destreggiarsi bene tra grottesco e quotidiano, plot e citazione.

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