BEFORE WE VANISH – #CANNES2017

Con il film Before We Vanish Kurosawa Kyoshi porta a Cannes un film raffinato e filosofico sulla proprietà linguistica umana di concettualizzare regole, pensieri e sentimenti. Un film squisitamente concentrato sulla dialettica e la filosofia del linguaggio che trova nell’espediente del cinema di genere lo strumento efficace per raggiungere un pubblico più ampio e più giovane. In apparenza il film si presenta come una variante del classico di Don Siegel Invasion of the body snatcher con alcune sfumature nel personaggio di Shinji Kase (un distante e ambiguo Ryûhei Matsuda) che evocano David Bowie in The man who fell to the earth di Nicholas Roeg. La storia dell’invasione aliena è però solo un pretesto con cui Kurosawa riflette sulla società, sulle differenze generazionali e sull’incomunicabilità emotiva e formale di un’epoca paradossalmente al massimo delle possibilità tecnologiche per la trasmissione del pensiero.

Tre esseri alieni, il cui reale aspetto fisico non ci sarà mai svelato, prendono possesso di un giovane in carriera e di due studenti del liceo, sono l’avanguardia che dovrà aprire la strada all’invasione della Terra. Ogni alieno cerca una guida umana da cui apprendere le regole basilari del territorio, gli elementi da cui difendersi e i luoghi più adatti al completamento della missione. Gli alieni sono veloci ad apprendere ma hanno una debolezza basilare: non sono capaci di comprendere i concetti del pensiero umano e la semplice esplicazione linguistica degli stessi non consente loro l’apprendimento. L’assimilazione di un concetto non avviene quindi attraverso il processo linguistico ma con una forma di estrapolazione del concetto stesso nella sua essenza inconscia. Come E.T. con il dito toccava le cose per aggiustarle o curarle così i nuovi alieni di Kurosawa toccano la fronte degli umani per rubare loro i concetti. L’effetto collaterale di questo furto del pensiero è che l’umano ne perde l’essenza, non ha più il senso del concetto che gli è stato sottratto e non sembra più capace di recuperarlo. Gli alieni in sostanza sono creature che assorbono senza condividere, incapaci di produrre ma solo in grado di consumare in modo sterile il pensiero altrui.

Kurosawa gioca con la fantascienza regalando al pubblico un piccolo trattato di filosofia dell’umanità senza mai scadere nella retorica o nei luoghi comuni. Ci si domanda cosa avrebbe pensato di tutto ciò Wittgenstein che, con il suo lavoro sul linguaggio, ha aperto le porte a una rilettura della concettualizzazione del pensiero. Gli alieni di Kurosawa ci dimostrano che è nelle proprietà del linguaggio, del pensiero e del sentimento che gli umani rivelano la loro più profonda e irripetibile essenza.

 

di Daniele Clementi

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