Anime nere, la recensione del film su RaiPlay

anime nere

Anime nere (trailer), presentato alla 71° edizione del Festival del cinema di Venezia e liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Gioacchino Criaco, è la storia di una famiglia calabrese legata alla ‘Ndrangheta attraverso la quale il regista Francesco Munzi cerca un propria, personale strada all’interno del cinema di genere, con un occhio rivolto verso la tragedia e con riferimenti (più o meno espliciti) a Fratelli di Abel Ferrara.

Luigi (Marco Leonardi), Rocco (Peppino Mazzotta) e Luciano (Fabrizio Ferracane) sono tre fratelli di origine calabrese. I primi due si sono trasferiti a Milano, dove hanno ottenuto il successo, l’uno attraverso il traffico di droga, l’altro facendo l’imprenditore. Solo Luciano è rimasto in Aspromonte, ad Africo, dove vive insieme al figlio Leo (Giuseppe Fumo). Sarà proprio quest’ultimo, dopo aver sparato alla vetrata di un bar, ad innescare una spirale di violenza e sangue che costringerà la famiglia a riunirsi e a fare i conti con il destino.

Luigi, Rocco e Luciano rappresentano tre diverse modalità di vivere la modernizzazione: Luigi è un trafficante di droga affiliato a gruppi sudamericani; Rocco, che non condivide le azioni del fratello, vive a Milano con la moglie e fa l’imprenditore grazie ai soldi sporchi di Luigi; Luciano, il più grande dei fratelli, è l’unico che prova ad adattarsi alla legge. Non vuole saperne degli affari dei fratelli, vive ad Africo (stigmatizzata dalla stampa come centro della criminalità) facendo l’agricoltore e pascolando le pecore per passione, e cercando di tenere il figlio Leo lontano dalle attività dello zio.

Lo scontro tra tradizione e modernizzazione scorre lungo tutto il film, e viene vissuta in maniera problematica dai personaggi: si passa da Amsterdam a Milano, espressioni del mondo moderno, con i loro grattacieli e i cantieri edili in costruzione, fino alla Calabria, dove le case sono senza intonaco e le persone perpetuano riti e tradizioni arcaiche. Luciano, ad esempio, fa uso della “polvere dei santi”, che si riteneva potesse curare qualsiasi malattia, ma subito dopo aggiunge le gocce della medicina “vera”, facendo emergere subito una sfiducia nelle credenze della tradizione. Mentre Leo, simbolo di una “gioventù bruciata” che vive nel mito della criminalità, pensa ancora che la vendetta sia l’unica arma funzionale in un mondo sempre più inafferrabile e che cambia troppo velocemente. E su tutti i personaggi incombe un passato di morte: quella del padre dei tre fratelli, ucciso in una faida.

L’atmosfera che si respira nel corso di Anime Nere è quella del noir, sostanziata dalla presenza di un passato incancellabile e di un destino imminente e immodificabile che chiede sangue e morte. A questo Munzi sovrappone uno sguardo da antropologo, attento al paesaggio, alle dinamiche relazionali all’interno della famiglia e tra clan e clan, ai riti e alla tradizione. Predilige i silenzi e il non detto, come nella sequenza in cui si cerca di creare un’alleanza tra famiglie attraverso il matrimonio tra Leo e Lucia, figlia di Don Peppe: si tratta di una faccenda di affari, ma per tutto il pranzo non se ne parla mai, girando a largo dalla questione centrale, mentre la tensione inizia lentamente a crescere. Ed evita il sociologismo: i rapporti tra politica e mafia sono solo accennati, lasciando intendere che il sindaco sia legato alla famiglia di Luigi, così come l’edilizia non può non essere connessa al potere. Allo stesso tempo emerge tutta l’ipocrisia di chi “sta dentro” e pretende di “essere fuori” ( la moglie di Rocco, nata a Milano, che dice al marito: “io sono diversa da voi”).

Ne esce il ritratto di una Calabria abbandonata, alle prese con un passato che si riverbera sul presente, di un Sud profondamente arretrato rispetto al Nord e al mondo (Amsterdam), di una popolazione che non ha fiducia nello Stato e nell’autorità. Proprio quest’ultima, rappresentata dai carabinieri, che fanno le retate nelle case delle vittime e non dei possibili carnefici, perché sanno che la vendetta non si farà aspettare, è oggetto di disprezzo (la madre Rosa sputa sul pavimento nel momento in cui i carabinieri stanno per uscire di casa). E alla fine, di fronte a un destino che conosce solo la logica della vendetta, l’unica soluzione possibile per porre fine alla spirale di morte (in una perfetta chiusura del cerchio) è quella di macchiarsi di sangue un’ultima volta, rompendo definitivamente col passato, e cosi’ facendo porsi definitivamente contro la tradizione (Luciano poco prima del finale brucerà le foto e i ritagli di giornale del padre ucciso).

Con Anime nere Munzi ha realizzato il suo miglior film e uno dei migliori tra quelli prodotti in Italia negli ultimi anni. A Venezia è stato accolto con 13 minuti di applausi (ma la giuria lo ha, colpevolmente, ignorato), e la successiva presentazione al Toronto Film Festival lo ha portato a essere distribuito anche in altri 20 paesi, inclusa l’America (un gran risultato per un film italiano). Vincitori di svariati premi tra cui 9 David di Donatello (su 16 nomination) e 3 Nastri d’argento, il film è disponibile su Raiplay.

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