In Boris 4 gli sceneggiatori non sanno come scrivere le scene, perciò optano per una strategia infallibile: “’O dimo”. Ecco, About Luis, presentato in Concorso alla Festa del Cinema di Roma 2024, è tutto un enorme “’O dimo”. E funziona.
Ovviamente, questa scelta non è un modo per risparmiare tempo e soldi. La regista e sceneggiatrice Lucia Chiarla ha costruito About Luis in maniera particolare: tutte le scene si svolgono nel taxi di uno dei protagonisti. I personaggi parlano e dialogano per la maggior parte del tempo, “dicendosi” cosa è successo e cosa hanno intenzione di fare, “’O dimo”, per l’appunto. Anche la radio contribuisce a spostare l’attenzione all’esterno della scena, riportando una serie di brutte notizie su traffico, politica, guerre. E la tensione sale, anche se vediamo poco.
I conflitti non si vedono e il plot è tutto fuori campo. About Luis può considerarsi una ripresa, e una rielaborazione originale, del lavoro innovativo fatto da Fritz Lang in M. Il mostro di Dusseldorf, in cui il fuori campo diventa espressivo. Chiarla sembra rifarsi anche al più recente The zone of Interest, in cui il fuori campo gioca un ruolo fondamentale nel senso del film: non a caso, il figlio dei due protagonisti, attorno cui ruota il conflitto, non compare mai fisicamente. È solo una voce al telefono.
Comunque, questo uso del fuori campo, unito all’ambientazione automobilistica, riporta subito al Locke di Steven Knight (e al suo recentissimo remake francese, Le Choix, presentato anch’esso al concorso di Roma 2024). Tuttavia, la storia di About Luis è più coinvolgente. Non tanto per i temi familiari e sociali dal momento che non si arriva a delle conclusioni così coraggiose o illuminanti. Neanche per i personaggi, resi molto umani dalle interpretazioni di Max Riemelt e Natalia Rudziewicz. Il merito ricade tutto sulla costruzione della trama. C’è sia un’unità di luogo, che permette di abituarsi a uno spazio e, quindi, a immergersi nella narrazione; sia imprevedibilità e movimento, perché il taxi è uno spazio errante, che si sposta in tutta la città (ben sfruttata come accompagnamento visivo e sonoro). È la struttura a conquistare lo spettatore.
All’idea drammaturgica molto efficace non corrisponde, purtroppo, un lavoro visivo all’altezza. Mentre la trama progredisce, la tensione cresce scena dopo scena, i personaggi si evolvono, About Luis resta dove è. Regia, fotografia, montaggio si adagiano su un anonimo fotorealismo. Sembra quasi teatro filmato: infatti, non è difficile immaginare un adattamento teatrale del film, nonostante gli spostamenti continui del taxi. Basterebbe far muovere i personaggi su un palco con quattro sedie a simulare il taxi (tipo Subaru Baracca). La messa in scena di Chiarla è piatta e rischia di annullare l’impatto dell’interessante novità drammaturgica. In About Luis c’è tanta tradizione e tanta novità, ma manca l’ultimo passaggio nella creazione di un progetto cinematografico in tutti i sensi.