#WeAreOne: Bloodless, gli occhi sul male

Se avete una cardboard o un visore di realtà virtuale leggete questa recensione solo dopo aver fatto l’esperienza in VR o vi rovinerete la storia. Bloodless (trailer) è stato premiato come miglior storia a Venezia nel 2017 ed è ora in programmazione al We Are One Film Festival 2020.

La regista Gina Kim racconta in realtà virtuale una storia inquietante e coinvolgente attraverso poche immagini immersive che progressivamente diventano sempre più inquietanti ed oscure. Bloodless in dodici minuti racconta il destino di molte donne prostitute che vivono e lavorano vicino ad un campo base dell’esercito degli Stati Uniti stazionato in Corea del Sud dal 1950 circa.

Il film racconta gli ultimi minuti di vita di una squillo brutalmente assassinata da un soldato americano a Dongducheon Camptown nel 1992. Gina Kim trasforma un fatto di cronaca, storia e dibattito politico in una esperienza concreta ed inquietante. Tutti gli ambienti filmati nell’opera sono esattamente quelli in cui si sono svolti i fatti e si è perpetrato l’omicidio.

Gina Kim ci trasforma in testimoni della brutalità, assistiamo inermi alla mostruosità del male in grado solo di rimanere indignati o turbati, contriti o sconvolti davanti ad un fatto ordinario di violenza sulla donna che normalmente non ha voce, non ha sangue e nessuno ricorda o cita nel fracasso degli eventi mediatici quotidiani, una storia senza particolare valore per la cronaca globale che nella realtà non trova lo spazio adeguato per una riflessione e che in realtà virtuale ritrova il suo realismo e urla la sua più profonda e spaventosa verità.

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