UN PICCOLO FAVORE – DIMMI COSA BEVI E TI DIRÒ CHI SEI

Thriller al femminile per Anna Kendrick (Pitch Perfect, Into the woods) e Blake Lively (Paradise Beach – Dentro l’incubo, Gossip Girl), dirette da Paul Feig (Spy, Le amiche della Sposa).

Stephanie Smothers è una vedova, mamma di un bambino che frequenta la stessa scuola elementare del figlio di Emily Nelson, donna in carriera. Le due non possono essere più diverse. Stephanie è dolce, solare, ottimista, ingenua, altruista e conduce un vlog di tutorial di cucina e lavoretti manuali casalinghi. Emily è la “risolutrice” per una casa di alta moda, forte, autoritaria, fredda e distaccata, sempre estremamente elegante, sposata con uno scrittore britannico che non scrive un libro da 10 anni e con cui c’è molta passione ma poca stima. Se Stephanie sprizza disponibilità e dolcezza da tutti i pori, Emily mostra segni di cedimento della sua corazza solo nel rapporto con il figlio. L’amicizia dei bimbi e la solitudine di entrambe creano quel legame altrimenti improbabile, che le porta a parlare giorno dopo giorno davanti a un martini. Fin quando Emily non chiede a Stephanie un piccolo favore: andare a prendere suo figlio a scuola e tenerlo per un po’ a casa sua. Lì le tracce di Emily finiscono; comincia invece il percorso di crescita interiore di Stephanie, che tra indagini e ricerche si metterà letteralmente nei panni di Emily, svelando un passato celato ben bene sotto anni di bugie.

Parlare di amicizia per descrivere il rapporto tra due persone che condividono solo l’avere i figli nella stessa scuola, sembra quantomeno azzardato. Il fatto che in poco tempo la dolce Stephanie si apra totalmente alla bella Emily e pensi di conoscerla, denota due tratti caratteristici del suo personaggio: l’estrema espansività e l’altrettanto estrema ingenuità. La presentazione dei fatti con il proseguire della storia e della ricerca, rivela alcuni dubbi sulla vera personalità della protagonista. Stephanie infatti non è priva di un passato torbido, per il quale è palese il pentimento e il tentativo di redenzione nel suo tentativo di essere una mamma perfetta. Ma in lei c’è chiaramente anche tanta insicurezza: lo dimostra il quasi disperato bisogno di contatto, fisico e non, con chi la circonda. Il forzato desiderio di far parte di un gruppo, rivela l’eccessiva disponibilità, il costante tentativo di ottenere l’approvazione degli altri e l’ingenuità nel non accorgersi di chi si sta approfittando di lei (o fa solo finta?).

Allo stesso tempo, l’antagonista Emily non fa mistero di essere una sorta di femme fatale all’interno del suo personalissimo noir, con gli eleganti abiti indossati con assoluta sensualità, la disinibita provocazione in ogni parola e gesto, in tutto e per tutto la donna alpha del branco. Per questo un grande plauso va alla costumista Renée Ehrlich Kalfus, che con ogni vestito ha saputo sottolineare perfettamente ogni tratto di personalità e con lei ha fatto un lavoro a dir poco sublime. Il vero problema di Emily è che, però, rischia di risultare un personaggio piatto: è da subito accompagnata da una sensazione negativa che non abbandona lo spettatore fino alla fine, quando avrà la conferma dei suoi sospetti. Si potrebbe parlare di cliché della bad girl. Un peccato, vista la magnifica interpretazione della Lively, un angelo biondo che riesce in pieno a far intravedere, senza esplicitarli, i segreti che il personaggio di Emily nasconde.

Tra i due opposti, l’attrazione: un legame nato per caso, sviluppatosi per necessità, evoluto in un dare e prendersi. Quale delle due dia o prenda di più, resta tutto da vedere. Emily offre fantastici martini ghiacciati mentre prende i segreti di Stephanie. Stephanie offre totale disponibilità mentre pian piano prende posto nella vita di Emily. Il conflitto è reso esplicito dai figli: le attenzioni di Stephanie per Nicky, figlio di una Emily sempre al lavoro, lo porteranno a incolparla di voler prendere il posto della madre, e culmineranno in uno scontro fisico tra i due bambini. Infine, il viaggio: la crescita interiore di Stephanie avviene dopo ogni spostamento che lei compie alla ricerca della verità sull’amica. Va sul suo posto di lavoro, visita la casa in cui è cresciuta, persino i luoghi in cui ha vissuto per breve tempo. Ogni passo verso di lei è un passo lontano dalla vecchia sé, una sé più consapevole, più forte, che fa sue le caratteristiche migliori di Emily e migliora quelle peggiori.

Bisogna comunque tener presente che la sceneggiatura è un adattamento dell’omonimo best seller di Darcey Bell, eseguita dalla bravissima Jessica Sharzer (produttrice e sceneggiatrice di otto episodi della serie American Horror Story), e diretta da un regista che ha dedicato gran parte della sua carriera alla celebrazione cinematografica dell’universo femminile. La sua sfida (e anche il suo divertimento) è stata inscenare il confronto tra il martini in calice ghiacciato e il ginger ale con cubetti di ghiaccio e ombrellino. Dal confronto passare allo scontro e con lo scontro rappresentare il passaggio da cocktail annacquato a superalcolico, in modo che risulti naturale e non artificioso. Nell’operazione ha trovato valido aiuto nell’espediente dell’inquadratura nell’inquadratura: lo schermo del pc, l’obiettivo della macchina fotografica, le enormi vetrate dei balconi di casa Nelson fungono da ulteriori filtri nell’osservazione del cambiamento dei personaggi. Il tutto condito dai dettagli, di cui il film è ricco e a cui vale la pena prestare particolare attenzione: non solo un contorno, ma spesso e volentieri un’anticipazione della mossa successiva.

di Valentina Longo

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