The Office, la sitcom americana compie quindici anni

Era il 24 marzo 2005 quando la NBC rilasciò il primo episodio di The Office, remake statunitense della versione britannica ideata da Ricky Gervais e Stephen Merchant andata in onda dal 2001 al 2003. Inizialmente negli Stati Uniti non ricevette una grande accoglienza, questo dovuto al fatto che lo showrunner Greg Daniels (Saturday Night Live, The Simpson), non volle allontanarsi subito dall’originale, realizzando così una stagione pesante che non piacque né ai fan di The Office né alla critica, la quale la definì una brutta copia. Il problema si risolse nelle nove stagioni successive. Distaccandosi dai personaggi inglesi, mantenendo sempre il nucleo e il tema centrale, crearono una delle serie più divertenti e acclamate di sempre.

Ambientata a Scranton in Pennsylvania, la sitcom narra le vicende di un gruppo di colleghi che lavorano nella filiale di una fittizia azienda di distribuzione di carta, la Dunder Mifflin. Girato come un mockumentary, i singoli personaggi interagiscono tramite sguardi o confessionali con la telecamera.  Tra scene esilaranti e assurde la serie ci fa conoscere le dinamiche e le storie dei vari dipendenti che compongono l’azienda. Quindici anni dopo la serie si conferma un evergreen, disponibile da ormai due anni su Amazon Prime Video, viene vista e rivista dai fan statunitensi, raggiungendo finalmente così anche il pubblico italiano, in quanto in Italia non ebbe la stessa notorietà che ebbe all’estero, molto probabilmente a causa del doppiaggio e della pessima traduzione.

Lo scopo principale di The Office è ovviamente quello di intrattenere, e in questo riesce perfettamente. È una sitcom prima di tutto comica, dall’umorismo sottile e sarcastico, ma come molto spesso accade nelle serie comedy è proprio dietro quelle gag demenziali e battute sagaci che si celano delle verità. Personaggi come quelli di Scrubs, How I Met Your Mother o Modern Family  hanno la capacità di farci riflettere su temi importanti facendoci ridere allo stesso tempo. Gli attori ritraggono le situazioni più imbarazzanti e ridicole che possano accadere in un ufficio, portando nel frattempo piccole lezioni di vita.

Significativa è l’ambientazione, un’azienda che vende carta nell’epoca dell’internet, un settore in crisi e destinato ad essere sempre più obsoleto. Descrive anche nel suo piccolo, una porzione di realtà a cavallo della grande crisi economica americana. Gli impiegati di Scranton enfatizzano la natura noiosa ed inutile dei loro lavori durante le interviste. La sequenza della sigla iniziale giustappone riprese dei principali dipendenti intenti ad usare la fotocopiatrice, lo scanner, il tritadocumenti, tutti compiti insignificanti e meccanici. Questo montaggio implica che i lavoratori siano intrappolati in questo meccanismo monotono che non li soddisfa, non riuscendo a far sfogare la loro vena creativa. Raffigura l’ambiente degli uffici moderni come opprimenti e asfissianti. In uno dei primi episodi Jim Halpert (John Krasinski) descrivendo il suo lavoro ad uno degli intervistatori afferma: “Il mio lavoro consiste nel parlare con i clienti, al telefono riguardo… la quantità e il tipo di carta per fotocopie. Sapere se possiamo rifornirli, se loro sono in grado di… di pagarla e… io, mi annoio soltanto a parlarne”.

La serie NBC descrive inoltre nel modo più satirico le dinamiche da ufficio. Lavoratori obbligati a stare ore in uno spazio chiuso, passando quindi la maggior parte della loro vita con sconosciuti. Persone squilibrate che rischiano di ottenere anche posizioni lavorative importanti. Lo show comico riesce nella sua assurdità a raccontare una realtà, anche se esasperandola per renderla più divertente. I personaggi nella loro assurdità e stravaganza sono verosimili. Sono maschere, stereotipi ma con un fondo di verità. Il capo imbarazzante, lo scansafatiche, il collega ossessionato dal lavoro con il passare delle nove stagioni assumono diverse sfaccettature, diventando sempre più complessi.

Contribuisce al realismo della sitcom la tecnica con cui è stato girato. La versione inglese fu uno dei primi casi di serie tv in stile mockumentary. Dopo questo esperimento, la tecnica di falso documentario venne usata per altri prodotti televisivi di successo come Parks and Recreation e Modern Family. Attraverso le false interviste riusciamo a conoscere meglio gli impiegati, condividono i loro pensieri, i problemi personali, i loro segreti. Molti fan pensavano che The Office fosse maggiormente improvvisata per la naturalezza con cui gli attori interagivano tra di loro, ma come l’attrice che interpreta Pam Beesley (Jenna Fischer) ha scritto nel suo blog, la serie era 100% scritta (ad eccezione di qualche gag inventata dai due brillanti comici Steve Carell e Rainn Wilson), ogni sguardo di camera, ogni esitazione veniva scritta dagli sceneggiatori, ma grazie agli incredibili scrittori e al talentuoso cast tutto sembra genuino e spontaneo.

Il personaggio più interessante è senza dubbio il capo della filiale, Michael Scott, interpretato dal carismatico Steve Carell, che è pienamente riuscito nell’impresa di distaccarsi dal protagonista britannico (Ricky Gervais), ideando una delle personalità più intriganti del panorama televisivo. Si presenta come colui che vuole piacere a tutti, facendo battute per lo più fuori luogo e generando situazioni di imbarazzo. Vuole essere l’uomo americano, virile e di successo che non è, avere una famiglia, ma a quarant’anni lui ancora non sa come interagire con gli altri. Michael Scott è una figura estremamente esilarante, ma dietro quell’apparenza, nasconde la paura di fallire, di morire solo.

Il suo atteggiamento è quello di un inetto, non capace a relazionarsi con il mondo esterno. Michael vuole essere amico di tutti i suoi colleghi, organizzando sempre feste in ufficio, tenta di non fare discriminazioni, ma finisce per fare sempre commenti sessisti, razzisti e omofobi. Rappresenta quella realtà adesso molto presente nell’ambito lavorativo, che porta ad un buonismo e ad un “politicamente corretto” tanto forzato quanto falso, che viene attuato non per essere persone migliori e civili, ma per non danneggiare il rendimento economico. Ipocrite politiche inclusive vengono attuate per mantenere una reputazione positiva e un benessere produttivo. In The Office vengono trattati temi come il razzismo, la misoginia, e l’omofobia in un’epoca nella quale movimenti come il #MeToo e il Black Lives Matter non erano ancora nati, e vengono affrontati in un modo che è tutt’ora originale e valido, senza nessun atteggiamento forzato o moralistico.

Oltre al tragicomico capo della Dunder Mifflin, conosciamo Jim, incastrato in un lavoro che disprezza, segretamente innamorato di Pam, timida segretaria alla ricerca di se stessa. Oltre alla bellissima storia d’amore tra Jim e Pam, troviamo Dwight Schrute (Rainn Wilson), costante vittima degli scherzi di Jim, bizzarro ed eccentrico, l’unico veramente appassionato del suo lavoro, che farà di tutto per diventare capo dell’ufficio, fallendo ogni volta. Ciascuno dei personaggi compie un arco narrativo significativo, in particolare Michael, che continua ad essere lo stesso capo imbarazzante , ma matura, diventando sempre più consapevole, iniziando a fare scelte che lo porteranno ad essere finalmente felice.

The Office parla di persone comuni, che fanno un lavoro ancora più comune, ed è proprio questo a renderla universale. Nonostante siano trascorsi quindici anni dalla messa in onda del primo episodio continua ad essere apprezzata a livello globale. È ormai un cult nell’ambito televisivo ed è diventata un punto di riferimento per le altre sitcom comedy.

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