Tenet, la recensione: l’inversione temporale di Nolan verso un futuro migliore

Una delle prime scene di Tenet vede John David Washington prepararsi a una misteriosa missione – da cui poi il titolo del film – attraverso un training condotto da Clémence Poésy che afferma esplicitamente, quasi rivolta agli spettatori in sala, di “Non cercare di capirlo” ma di “sentirlo, percepirlo”. Frase che diventa un vero e proprio appiglio a quella che sarà (come si presumeva) una narrazione palindroma, complessa e intricata, tra viaggi temporali e sequenze d’azione mai viste prima d’ora.

Il mondo è in pericolo e tocca al Protagonista (John David Washington) aiutato da Neil (Robert Pattinson) doverlo salvare. In giro per il mondo tra Tallin, Oslo, Mumbai e Costiera Amalfitana in un vortice di dialoghi e intrighi spionistici, i due dovranno porre fine agli intenti apocalittici del russo Sator (Kenneth Branagh) intento a controllare la moglie Kat (Elizabeth Debicki) e distruggere il mondo. Tenet riavvolge il tempo per sfuggire da un futuro che ripudia i suoi personaggi in quanto cause dirette di un presente vicino al collasso.  

Viviamo in un mondo crepuscolare” in questo periodo storico in particolare e il cinema di Nolan, accompagnato sin da sempre da una curiosità per i celebri escamotage narrativi e stilistici che hanno portato in sala milioni di spettatori, potrebbe simboleggiare la salvezza del cinema stesso, portando alla riapertura di centinaia di sale sul suolo mondiale e risanando le perdite d’incassi.

Tenet è il film perfetto per un ritorno salvifico al cinema e del cinema. Un’opera adrenalinica e sperimentale in grado di segnare un ulteriore step nel genere action intrattenendo un gran numero di spettatori. Ma Tenet è anche estremamente complesso e confuso nonostante le continue spiegazioni da parte dei personaggi stessi, rischiando la perdita d’interesse a causa della sua durata e un continuo ripetersi di un modus operandi all’interno dei due blocchi narrativi principali fin troppo prevedibile.

Un’esperienza che chiede ai suoi spettatori di arrendersi allo scorrere dei minuti e abbandonare la ricerca di una logica nei confronti di ciò che si osserva. Lasciarsi alle spalle le normali leggi fisiche – come viene più volte ripetuto al Protagonista – per abbracciarne di nuove ed essere trasportati dal flusso roboante di set mastodontici e blocchi d’azione orchestrati alla perfezione. Sentire appunto, piuttosto che capire.

L’incontrarsi e lo scontrarsi dei personaggi con le meravigliose – e numerosissime – location soggette a esplosioni e distruzione di ogni genere, delinea singolari e circoscritte arene di combattimento dove ogni nemico è definito come antagonista, pedine di un gioco che tornerà a ripetersi più volte. Arene che ricordano, per le modalità con cui vengono esplorate, dei veri e propri scenari videoludici con cui i personaggi interagiscono esplorandone ogni angolo che possa giovare al successo della missione.

A sbalordire è senz’altro l’effetto d’inversione del tempo – elemento principale di combattimenti bizzarri ed effetti visivi impressionanti – con cui Nolan e Hoyte van Hoytema realizzano sequenze fuori dall’ordinario. Ottima anche la colonna sonora di Ludwig Göransson tra sintetizzatori e sonorità minimali drum and bass.

Nel frattempo tra chi non vede l’ora di recarsi nuovamente al cinema e chi scrive dei dilemmi morali dell’arrivo in sala di Tenet, non ci resta altro che attendere e sperare in un futuro del cinema, così come della vita stessa, pieno di speranza; più inclini al cambiamento, lontani dai detriti di un futuro che ci respinge.

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