Ultras, la recensione del film su Netflix

Ultras (trailer), il lungometraggio d’esordio di Francesco Lettieri, prodotto da Indigo Film e distribuito su Netflix, con la collaborazione di Mediaset, rientra di diritto tra i titoli originali più belli presenti sulla famosa piattaforma di streaming. La storia è ambientata nella periferia di Napoli, all’interno di un gruppo ultras della squadra di calcio della città. Il popolare sport però c’entra poco: vengono mostrati di sfuggita video di repertorio di vecchie partite durante i provocatori titoli di testa, che vengono subito sostituiti da immagini di violenze e scontri tra ultras. Più tardi vediamo l’unico pallone del film, però un personaggio lo utilizza per sfogare la propria rabbia e lo calcia contro il muro. Lo stadio invece si intravede soltanto da lontano, oppure i personaggi lo scorgono dai corridoi sotterranei prima di lanciare delle bombe carta nella curva avversaria, ma non è più lo stadio, piuttosto diventa il campo di battaglia.

Senza approfondire socio-culturalmente il movimento ultras, il film di Lettieri descrive il gruppo come una famiglia, o meglio un branco, poiché i componenti sono legati tra loro attraverso una rigida gerarchia e un intenso meccanismo di rispetto, infatti «un ultras da solo non vale un cazzo». Lettieri all’inizio li mostra in inquadrature confuse che rendono i singoli indistinguibili: il gruppo così diventa un unico essere in movimento che si muove e distrugge come un fiume in piena. Tuttavia di Ultras è interessante soprattutto il contesto, il “solito” periferico, è vero, tuttavia Lettieri quasi schernisce gli stereotipi della città partenopea. Per mostrare il luogo di ritrovo degli amici, passa dai vicoli del centro, mostra santini, ci fa ascoltare Funiculì funiculà , con i personaggi che poi cacciano i turisti, ed è come se cacciassero la Napoli della facciata, per concentrarsi su un racconto non visibile ai turisti, più profondo, recondito.

La periferia di Lettieri è un ambiente sociale che non offre possibilità (il murales esterno alla questura recita «tutta colpa della disoccupazione»), tuttavia Ultras, non solo è lontano dal mondo della criminalità organizzata, ma addirittura la rifiuta, quando un personaggio propone per scherzo di fare una rapina per procurare dei soldi viene deriso. Quindi, anche se ambientato nella periferia napoletana, Ultras rifiuta gli stereotipi, per concentrarsi piuttosto sul raccontare una storia ambientata in un contesto ambientale difficile. A questo punto forse diventa inefficace strumentalizzare alcuni aspetti del film se è il film stesso a distaccarsene. Anche la violenza, quando presente, assume una funzione particolare (ovvero, come punizione contro i nemici) anziché essere mostrata gratuitamente.

ultras

È interessante quindi concentrarsi su altri aspetti del film di Lettieri, come la caratterizzazione degli adulti, i quali mancano di quelle qualità che comunicherebbero la loro maturità. Sandro (un bravissimo Aniello Arena) riesce a essere un ottimo capo degli Apache (il nome del gruppo ultras), tuttavia è un adulto impacciato, non è responsabile, vive in una casa arredata appena dal letto, non ha famiglia. L’aver anteposto il gruppo a ogni altra cosa per tutta la sua vita lo ha reso solo e incapace di vivere in un ambiente sociale nel mondo reale: anche se vorrebbe una vita “normale” non è capace di interagire con le persone al di fuori del gruppo (non riesce a comunicare dopo aver fatto sesso).

La trama, ben intricata anche se inevitabilmente scontata, viene sorretta da una sceneggiatura magnifica e una regia eccellente. Lo sceneggiatore è lo scrittore Peppe Fiore, la sua è una scrittura di strada, con dialoghi in dialetto che risultano molto naturali e riescono a costruire un’atmosfera immersiva, la quale passa anche attraverso la recitazione genuina degli attori. Soprattutto sorprende la sua scelta: quando il film dovrebbe aumentare la tensione all’inizio del terzo atto, il ritmo invece rallenta e la narrazione si prende una pausa.

La sceneggiatura e gli attori vengono diretti da Lettieri con la regia che spazia da inquadrature fisse alla camera a mano (alcune scene, con la fotografia “sporca” e un’illuminazione naturale, trasmettono un realismo quasi documentaristico) e una composizione sempre attenta che rimpicciolisce i personaggi all’interno degli ambienti. Il suo occhio autoriale è sicuramente presente, tuttavia ciò non appesantisce mai il racconto con inutili virtuosismi. Le inquadrature finali sono la dimostrazione più palese di un narratore eccellente presente per tutta la durata del meraviglioso Ultras.

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