Tyler Rake, la recensione del film su Netflix

Su Netflix: Tyler Rake

È passato un anno da quando l’ineluttabile Avengers Endgame ha debuttato nelle sale di tutto il mondo. Col passare dei mesi il kolossal Marvel, firmato da Anthony e Joe Russo, è diventato un vero fenomeno mondiale, capace di richiamare nelle sale milioni di spettatori (e non solo appassionati) e guadagnarsi il posto del film col maggiore incasso della storia del cinema (detenuto dal 2009 dall’ormai battuto Avatar di James Cameron).

Da una parte Endgame è il coronamento di un percorso, cominciato nel lontano 2008 da Jon Favreau con Iron Man, e la celebrazione dei suoi acclamati personaggi; dall’altra lo stesso è crocevia di nuovi multi-versi da cui si diramano i programmati film della Fase 4 Marvel e soprattutto quelle operazioni di film e serie TV con protagonisti gli stessi attori dell’MCU (Marvel Cinematic Universe).

Con Tyler Rake (trailer) Chris Hemsworth suggella il concept del difensore della patria e del Lord of Thunder, distanziandosi mai in maniera così netta dall’hacker Nicholas Hathaway da lui stesso interpretato nel 2015 col Blackhat di Michael Mann. Rake e Hathaway condividono i tratti dell’antieroe tragico con un passato tempestoso alle spalle, mai completamente lucido, mosso dal disperato sogno di riscatto e redenzione in un mondo violento che ormai ha attecchito sulla sua pelle. Il primo è un mercenario che per scelta si lancia in un’adrenalinica missione di estrazione tra le strade di Dhaka (Bangladesh); il secondo è un hacker in prigione, richiamato alle armi dai governi di Cina e Stati Uniti per scovare i responsabili di un attacco terroristico. Entrambi sono vittime di una malattia del vivere che li condurrà ai loro rispettivi show-down, diversi per etica e morale.

Su Netflix: Tyler Rake

Così come i supereroi di Joss Whedon, che in Avengers: Age of Ultron (2015) combattono contro un virus virtuale chiamato Ultron, anche il dio dell’informatica di Michael Mann si dimena nella rete di un parassita che dall’invisibile minaccia l’intera umanità. Il discorso evolve quattro anni dopo con Tyler Rake dove Hemsworth è sempre un dio; questa volta però egli non agisce da un computer, ma direttamente in strada, tra sparatorie alla John Wick e momenti di breve quiete, dove il virus è una  criminalità di narcotrafficanti che ha infettato l’intero paese e agisce allo scoperto. L’intera Dhaka infatti è un pandemonio di militari e gangster che non lascia spazio ai civili, sempre di contorno e mai funzionali alla narrazione.

Thor (2011) di Kenneth Branagh, Blackhat e Tyler Rake – tutti tra l’altro a distanza di, più o meno, quattro anni – tracciano quindi un preciso sotto-testo che vede Chris Hemsworth come interprete, star e promotore di un’Immagine. Tyler Rake è il traguardo di un tracciato lungo all’incirca otto/nove anni dove Hemsworth è maratoneta incallito che non smette mai di correre e tifare per lo stesso personaggio: egli è l’immaturo e irresponsabile giovanotto che deve riconquistare il titolo di dio del tuono e dei fulmini; sarà il dio dell’informatica che con forza e perspicacia combatterà il nemico invisibile, ovvero un Ultron incorporeo, fino a divenire egli stesso un virus che si confonde tra virtuale e reale; diventerà infine il soldato che, una volta concluso lo scontro con Thanos, deve tornare nel suo luogo d’origine – all’inizio vediamo Tyler riposarsi a Kimberley in Australia (Hemsworth è australiano) –  prima di tornare a combattere, per salvare l’Uomo da una minaccia, o addirittura da un nuovo 11 Settembre. Tyler Rake è quindi la celebrazione “armata” del personaggio di Thor, qui senza poteri ma con gli stessi capelli di quando si è scontrato con Hulk sul pianeta Sakaar in Thor Ragnarok (2017) di Taika Waititi.

Lo script altamente prevedibile di Joe Russo è bilanciato da coreografie mozzafiato, riprese alla Captain America Civil War (2016) – con tanto di telecamera che balza da un tetto all’altro – e riflessioni extradiegetiche che non riguardano il film in sé, quanto i significati inter-testuali tra questo e altri film. Tyler accetta il lavoro dello extraction – deve salvare il figlio di un narcotrafficante indiano, rapito e condotto in Bangladesh – per curare una ferita ancora aperta e risistemare un passato di errori; allo stesso modo il suo Thor in Endgame si lancia alla volta del viaggio nel tempo per vendicare Loki, ma soprattutto per cancellare le tracce dei suoi sbagli. Il ragazzo indiano che Tyler/Thor deve salvare è il simbolo dell’ennesima vita innocente che rischia di essere spezzata da un nuovo Thanos o Ultron e quindi, per evitare un altro 11 Settembre, si deve intervenire militarmente e preventivamente.

Tyler Rake è un film di scrittura ridotta all’osso, con personaggi scarsamente caratterizzati (ad eccezione del protagonista), ma con un vasto repertorio di significati metatestuali che spaziano dal percorso attoriale di Chris Hemsworth alla immagine che quest’ultimo ha promosso nel tempo col suo Thor. In definitiva Tyler Rake di Sam Hargrave non esisterebbe senza il suo ipotestuale attore protagonista e l’Universo Marvel che lo ha preceduto.

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