The Truman Show, la recensione del film su Netflix

The Truman Show

The Truman Show (trailer), uscito nelle sale cinematografiche nel 1998 e diretto da Peter Weir su sceneggiatura di Andrew Niccol, può essere considerato come un film profetico ed ancora oggi attualissimo, anticipatore di una società esasperata dai media e dalla TV in particolare, nella quale finzione e realtà si confondono fra di loro.

La star del racconto è Truman Burbank, interpretato magnificamente da un Jim Carrey fino ad allora conosciuto principalmente per ruoli comici. Truman è un trentenne apparentemente pieno di vita e sempre sorridente che non sa di essere l’attore protagonista di uno spettacolo televisivo, il Truman Show, un programma incentrato sulla sua stessa vita, ripresa in diretta sin dalla nascita, ovvero il momento in cui fu prelevato da una gravidanza indesiderata e “adottato” da un network televisivo. Sull’isolotto su cui abita, Seahaven, il giorno e la notte sono artificiali, così come il mare e tutti i fenomeni atmosferici: in realtà, Seahaven si tratta di un gigantesco studio televisivo dove, nella cupola del finto cielo, dirige lo show il regista Christof (Ed Harris), una sorta di trascendente burattinaio. Tutte le persone che Truman incontra e con le quali si relaziona sono degli attori, compresi i genitori, l’amico Marlon (Noah Emmerich) e sua moglie Meryl (Laura Linney), che hanno lo scopo di manipolare e pianificare, secondo le esigenze della produzione, la vita di Truman.

Truman, che già percepisce un senso di estraniamento nella sua vita in apparenza tranquilla e agiata, comincia a dubitare della realtà in cui vive quando iniziano ad accadere strani avvenimenti. Truman comincia a vedere i suoi affetti più cari, i genitori, la moglie e l’amico del cuore, scolorire nei volti di perfetti estranei e cerca allora conferme sulla sua vita reale riguardando le vecchie fotografie di famiglia che, però, non esauriscono i suoi dubbi e non calmano la sua crescente irrequietezza che si traduce in un desiderio di evadere verso un luogo lontano. Questa voglia di fuga, incompatibile con il programma televisivo, mette in difficoltà sempre maggiore gli sceneggiatori, che si vedono costretti a inventare nuove soluzioni per impedirgli di allontanarsi dall’isola.

Truman è nato e cresciuto nella cittadina di un’isola nella quale tutto è fittizio: lo stesso nome Seahaven significa letteralmente “rifugio di mare”, “porto sicuro”, facendo riferimento a un luogo che doveva apparire a Truman il più rassicurante possibile (in tutta la vicenda il protagonista viene continuamente dissuaso dal tentare di uscire dalla città) e il nome inoltre, con la sua assonanza con “heaven” (paradiso) richiama allegoricamente al paradiso terrestre dell’Eden. Sono diverse infatti le interpretazioni teologiche del film secondo cui Truman sarebbe come Adamo, che avendo mangiato dall’albero della conoscenza, va via dalla città perfetta. Ma mentre Truman se ne va per sua scelta, Adamo invece viene essenzialmente costretto a farlo.

The Truman Show

Anche gli stessi nomi degli interpreti sono indicativi e funzionali: Truman sta per True Man (che in inglese significa Uomo Vero, l’unico fra tutti i personaggi che entrano ed escono dal film che è ingenuamente se stesso); il regista Christof, creatore dell’universo di Truman, è un’evidente allusione a Cristo; la moglie di Truman si chiama Meryl come la celebre attrice Streep e non è altro che un’attrice che recita il ruolo di qualcuno che ama Truman, ma in realtà non prova sentimenti per lui; il suo migliore amico si chiama invece Marlon, come Brando.

Con rimandi letterari tra Orwell e Dick, The Truman Show è una sofisticata satira fantascientifica sulla TV, medium imperante negli anni novanta, e su come questa influenzi la società. Infatti, è proprio in quegli anni che si diffonde a macchia d’olio il format televisivo del reality show –  il successo del Grande Fratello ne è un chiaro esempio – il cui obiettivo è quello di improvvisare una diversa vita di relazione, in un ambiente appositamente artefatto, facendo convivere per alcuni mesi in condizioni di libertà limitata un gruppo di persone consenzienti e sconosciute fra di loro, per confrontarne le reazioni. I telespettatori da casa possono seguirne le attività giorno e notte attraverso gli schermi TV e con un procedimento ad esclusione viene scelto infine il migliore. Ma se nel Grande Fratello, i protagonisti sono consapevoli del ruolo che è stato loro affidato, cercato e voluto da essi stessi, così che tutto ciò che accade in seguito è intenzionalmente una parodia della spontaneità, nella storia proposta dal regista australiano invece tutti recitano una parte, tranne uno, Truman Burbank, che è l’ignara vittima di una colossale montatura iniziata quando è nato e che da allora va ininterrottamente in onda, senza che lui ne sia stato in alcun modo informato.

Al potere televisivo si sovrappone quello della pubblicità (anche subliminale): tutto ciò che è mostrato nello spettacolo ha uno sponsor, spesso ostentato dalle inquadrature e al di fuori dello show, nella vita reale, dove si è creato un merchandising enorme: tutto ciò che concerne Seahaven è in vendita.

La penna di Andrew Niccol non condanna solo il mezzo televisivo e i suoi manovratori, ma anche il pubblico, che per anni segue anestetizzato le vicende di Truman in TV, fa il tifo per lui durante la sua fuga solo perché lo vede come uno spettacolo più appassionante, mentre per trent’anni, ormai assuefatto allo show, non si è mai indignato per ciò che è stato fatto al giovane, a sua insaputa. Significativa è la scena che chiude The Truman Show, in cui due spettatori, una volta inteso che le avventure del loro eroe sono giunte alla conclusione, esclamano: “Che danno adesso? Dov’è la guida TV?”. Nell’odierna società dei consumi infatti anche un evento straordinario come questo, pur prolungato per così tanto tempo, non appena si conclude, viene velocemente dimenticato e fagocitato dall’industria dei media per far posto al successivo con naturalezza e senza traumi.

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