The Meyerowitz Stories (New and Selected), la recensione del film su Netflix

Regia e sceneggiatura di Noah Baumbach, con The Meyerowitz Stories (trailer) torna l’equilibrio tra umorismo e tragedia che sembra il modo del regista di vedere il mondo. Torna New York, la sua città, torna il tema della famiglia e a tratti anche quello del divorzio, torna l’intimità caratteristica delle sue pellicole.

Selezionato per concorrere alla Palma d’oro del Festival di Cannes nel 2017, è il secondo film distribuito da Netflix a partecipare al festival francese dopo Okja e quindi al centro di grandi dibattiti. Non vince, ma riceve comunque un’accoglienza positiva. Considerato uno dei film migliori distribuiti su Netflix, ha visto un Adam Sandler elogiato per la sua esibizione, ritenuta da molti critici una delle sue migliori, un riscatto.

La famiglia allargata e disfunzionale dei Meyerowitz si riunisce per una retrospettiva dell’opera scultorea del patriarca, l’egocentrico e permaloso Harold (Dustin Hoffman). Un uomo dalla personalità difficile, artista avanguardista negli anni ‘70, mai del tutto realizzato e apprezzato dal mondo dell’arte newyorkese. I suoi tre figli adulti danno più o meno inconsciamente la colpa al padre per la loro mancata realizzazione nella vita. Un padre che, nonostante il poco riconoscimento, reputano un grande artista. Forse solo per non accettare il fatto di essere stati trascurati da un uomo comune.

Danny (Adam Sandler) un musicista che ha lasciato a metà la sua carriera, divorziato e al momento senza casa. Insicuro e incurante di sé stesso, è riuscito però a crescere una brillante ragazza, Eliza (Grace Van Patten), apprendista cineasta, l’unica a seguire davvero le orme da artista del nonno. Jean (Elizabeth Marvel) è figlia e sorella sempre presente nel nucleo famigliare e allo stesso modo sempre ignorata e non compresa. Fratellastro dei due e figlio prediletto di Harold, Matthew (Ben Stiller), imprenditore che scansando l’arte è l’unico della famiglia che è riuscito a far soldi. Nonostante la preferenza del padre, però, non si sente apprezzato. Harold voleva un erede artista ma che non è stato soddisfatto. È un uomo colto ma pieno di orgoglio e testardaggine che lui giustifica spesso nel film essere “la sua protesta”.

Come la retrospettiva che si va organizzando, tutta la vicenda è un guardare all’indietro. Baumbach si ritrova di nuovo a trattare rapporti del presente in vista del passato. I rapporti tra i personaggi sono pieni di rancori e recriminazioni antiche e come sempre la comunicazione è difficile nelle famiglie del regista newyorkese. L’uso della super 16 mm restituisce una resa del film quasi domestica, a tratti documentaristica, sembra di guardare dei vecchi filmini di famiglia. In questo modo si esalta la trasparenza che è l’ambizione del cineasta.

Noah Baumbach ha un talento naturale per l’osservazione umana e per la creazione di dialoghi acuti e veri che, senza cadere nell’ovvietà, restituiscono la sincerità delle relazioni. L’umorismo dolce amaro che caratterizza la sua scrittura lo accosta al collega e idolo Woody Allen che come lui narra le vicende di intellettuali tormentati. The Meyerowitz Stories ha un ritmo veloce e fluido grazie a questi brillanti dialoghi. Le pellicole del regista newyorkese sono paragonate anche a quelle di Wes Anderson. Ma mentre in quelle di quest’ultimo domina la malinconia, in Baumbach è l’amarezza che la fa da padrona.

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