Jonas, la recensione del film su Netflix

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Jonas (trailer), scritto e diretto da Christophe Charrier, è un film prodotto per essere trasmetto in TV e soltanto in seguito ha trovato in Netflix un distributore internazionale. Il suo ambiente di riferimento è fondamentale per scrivere una sua interpretazione, poiché, nonostante i suoi parecchi pregi, soprattutto per quanto concerne la sua forma, sono ben visibili i suoi limiti nel reparto narrativo. Tuttavia, non importa. Questo perché, Jonas, chiuso dai suoi vincoli, funziona, almeno sotto alcuni aspetti.

Il film inizia con una scena molto suggestiva: Jonas (Félix Maritaud) e suo padre sono in auto, si fermano presso un benzinaio per fare rifornimento, quindi il padre esce dall’auto mentre Jonas resta a giocare al Game Boy. È importante menzionare questa scena per diverse ragioni. Già da subito Charrier mostra la sua impronta registica: la macchina da presa non si allontana dall’area intorno all’auto, questo perché la regia predilige i personaggi per ignorare (più volte durante il film) l’ambiente circostante. Anche quando Jonas va a scuola possiamo distinguere soltanto le spalle del protagonista mentre cammina in un corridoio popolato da figure indistinguibili, probabilmente per sottolineare l’alienazione del protagonista nel suo ambiente. Questo aspetto è interessante poiché Charrier affida al linguaggio filmico una caratteristica fondamentale del protagonista (la sua solitudine), altrimenti sviluppata dai dialoghi in modo quasi marginale.

La scena iniziale mostra anche un altro componente che vale la pena nominare, infatti la scelta di restare attenti a Jonas e all’auto (già in questa scena si riconoscono gli indizi fondamentali per la decifrazione degli sviluppi della storia: il Game Boy e l’automobile) rivela sin da subito l’ansia che il protagonista indirizza verso “un qualcosa”. Il fatto che Charrier chiuda il personaggio nell’auto e accresca la sua ansia con inquadrature limitate sottolinea la sensazione di isolamento che il protagonista prova. A calcare la sensazione ci pensa l’inserimento di una cosa tanto potente quanto impegnativa: un’allucinazione. Ma se la sua presenza potrebbe suggerire un interessante atteggiamento irrazionale del film, invece il regista non utilizzerà più questo espediente lasciando che le sensazioni del protagonista siano suggerite dal linguaggio filmico oppure non evidenziate affatto.

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Dopo l’inizio così misterioso (perché un adolescente ha addirittura delle allucinazioni che lo fanno scoppiare a piangere?), il film inizia a intrecciare e districare il mistero, che, nonostante costituisca il centro del film, non è né particolarmente interessante né tanto meno originale, tant’è che il groviglio del plot narrativo si rivela meno soddisfacente di quanto Jonas vorrebbe. Questo perché la sostanza del film è un’altra, ovvero concentrarsi sul personaggio e su quelle ripercussioni che certi avvenimenti provocano irrimediabilmente nelle persone. Tuttavia, proprio da questo punto di vista la pellicola ha delle mancanze, poiché proprio i personaggi risultano imprigionati da alcuni stereotipi, probabilmente necessari al genere. Jonas infatti racconta, alternando passato e presente, prima la scoperta dell’omosessualità del protagonista, poi le ripercussioni psicologiche che ha avuto un certo evento traumatico. Il problema è che la profondità psicologica del protagonista è poco analizzata, probabilmente persa nel tentativo di Charrier di scrivere un film che fosse una combinazione tra un dramma e un thriller.

L’aspetto paranoico dell’allucinazione iniziale si perde in un plot con un buon ritmo (grazie all’alternanza tra passato e presente) che coinvolge poco emotivamente. Se l’idea di partenza è interessante, ovvero collocare, all’interno di un contesto credibile, un fatto imprevisto, la scrittura non riesce a caratterizzare con maggior spessore le situazioni e resta soltanto sulla superficie del marcio, senza approfondire, o meglio, scavare nel protagonista. Charrier insegue il vuoto del protagonista attraverso un linguaggio dilatato molto interessante, mentre una bellissima fotografia al neon mostra un mondo colorato, ma spesso troppo scuro da risultare accogliente. Tuttavia, Jonas è un film che risulta riuscito soltanto se visto attraverso la prospettiva che ne prende in considerazione l’origine della sua produzione televisiva, poiché la sua elementarità narrativa rappresenta un gravoso e sfortunato limite.

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