#Alive, la recensione del film su Netflix

#Alive

Negli ultimi anni molti registi coreani hanno deciso di realizzare film a tema zombie, basti pensare a Train to Busan del 2016 diretto da Yeon Sang-ho, Rampant di Kim Sung-hoon del 2018, o ancora al serial originale Netflix Kingdom. In questa occasione però ci concentreremo su #Alive (trailer), film d’esordio di Cho Il-hyung e basato sul webtoon Dead Days di Matt Naylor del 2014, che in seguito alla riapertura delle sale cinematografiche, chiuse causa Covid-19, ha registrato un record di incassi. Questo sicuramente grazie anche all’argomento della pandemia che, volenti o nolenti, intercetta la realtà contemporanea.

#Alive infatti tratta di un’improvvisa epidemia che trasforma gli esseri umani in zombie con tendenze violente e cannibaliche, e il protagonista Oh Joon-woo (interpretato da Yoo Ah-In), un millennial avezzo alla tecnologia, costretto in casa dovrà affrontare quello che è a tutti gli effetti un lockdown, lo stesso tipo di quarantena che il nostro mondo ha dovuto conoscere questa primavera.

Da queste premesse possiamo riflettere su come il genere horror, spesso sottovalutato e bisfrattato dalla stampa, dai media e anche da una grande fetta di pubblico, sia in grado di raccontare al meglio una determinata epoca storica e le relative ansie o paure, da esorcizzare. Pensiamo ad esempio al Giappone degli anni ’50 e all’esplosione dei «kaijū eiga» (film di mostri giganti), il cui più celebre esempio è il Godzilla di Ishiro Honda, diventato così iconico da ispirare anche il remake americano. I kaijū eiga dovevano essere, a livello di intrattenimento, la rappresentazione esorcizzante circa il trauma della Seconda guerra mondiale e, nello specifico, il trauma della bomba atomica. In un certo senso l’horror, attraverso la commistione di generi e il racconto della storia, mira a sviluppare una catarsi, un’esorcizzazione delle ansie del contemporaneo; giocando sul tema del sublime, ovvero l’idea di essere coinvolti a livello emotivo in una vicenda tragica e l’avere a che fare con emozioni che non vorremmo mai vivere in prima persona, per questo le ricerchiamo attraverso le esperienze dei personaggio nello schermo stando comodamente seduti sul divano di casa o su una poltrona in una sala cinematografica, annullando ogni possibile rischio.

#alive

#Alive è un film di zombie la cui prima parte vede solamente Oh Joon-woo costretto in casa da solo poiché il resto della famiglia è uscita per una gita, ma quello che sorprende è l’imprevedibilità delle scelte di narrazione. Nonostante nella gestione delle orde di zombie, degli inseguimenti e dei momenti splatter faccia palesemente riferimento al genere horror canonico – con però una pizzico di action in aggiunta – in realtà #Alive nella maggior parte del tempo si rivela essere un dramma psicologico, in cui lo spettatore segue il lento disfacimento del protagonista nella sua condizione di sopravvivenza, con la quale però non riesce a venire a patti, con la dolorosa consapevolezza di aver esaurito tutte le risorse primarie, mentre aumenta sempre di più la sua paranoia. Nonostante le premesse, il film procederà su binari completamente diversi quando il protagonista, ormai prossimo a suicidarsi, scoprirà che la ragazza che abita nel palazzo di fronte, Kim Yoo-bin (Park Shin-hye) è anche lei una sopravvissuta. Da qui in poi la storia segue lo svilupparsi della comunicazione di due persone costrette in casa, un legame che in un primo momento si forma a distanza, con i due che dovranno trovare un modo per restare vivi.

Il film però tende anche a smorzare, in un certo senso, gli elementi horror per focalizzarsi molto sulla costruzione e sullo sviluppo affettivo che lega i due giovani, che, nonostante vivano la stessa condizione estrema, hanno dei lati del carattere completamente diversi: lui un po’ goffo, ingenuo e infantile, mentre lei una vera e propria guerriera, ma al contempo normale e piena di insicurezze che la rendono umana (come ad esempio la paura dell’altezza), facendo emergere un’interessante sentimento legato al quotidiano che nel complesso risulta funzionale nel raccontare il senso di prigionia che vivono i due. Il film pone l’attenzione sul valore della vita, e fa delle implicite riflessioni sul tema dell’alienazione, dell’isolamento, della natura dei rapporti umani e soprattutto su cosa è capace di fare l’essere umano in una situazione di isolamento, alla ricerca del senso della vita.

#Alive risulta un film di intrattenimento abbastanza riuscito nei suoi intenti, nonostante la conclusione si riveli piuttosto banale, ricalcando troppo i soliti clichè, e plasmandosi come un insolito e non ben approfondito elogio ai social media, il tutto accompagnato da una scelta registica fortemente discutibile e scontata. Cho Il-hyung decide di non focalizzarsi quindi maggiormente sulla parte adrenalinica, ma piuttosto sulla componente drammatica, intervallata da occasionali momenti in cui a fare capolino sono anche gli zombie.

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