Servant, la recensione della prima stagione su Apple TV+

Su Apple TV+: Servant, la prima stagione

Servant (trailer) è una delle serie originali disponibili sulla nuova piattaforma di streaming Apple TV+, lanciata nel mese di novembre del 2019 dal colosso tecnologico. Una delle caratteristiche che stimola subito la curiosità è il nome di uno dei produttori esecutivi, M. Night Shyamalan, il regista indiano naturalizzato statunitense, celebre per la sua predisposizione verso quelle trame ambigue che spesso nascondono un segreto enigmatico. In effetti Servant, creata da Tony Basgallop (che cura anche la sceneggiatura di tutti gli episodi), ha un’atmosfera tetra e un intreccio intricato, qualità che riescono con abilità a catturare l’attenzione dello spettatore. Al contrario, la scrittura non sempre riesce a reggere l’ambiguità del plot narrativo.

«Non tutte le famiglie sono normali come la nostra», dichiara Dorothy (Lauren Ambrose), inconsapevole di appartenere a una famiglia tutt’altro che «normale». Lei infatti è una mamma che ha perduto il proprio bambino di pochi mesi, ma, entrata subito in uno stato di shock, non solo è inconsapevole della perdita, ma si è alienata dalla realtà a tal punto da non accorgersi che il bambino è stato sostituito con una bambola reborn dal marito (Toby Kebbell), insieme alla collaborazione del fratello (Rupert Grint). La faccenda si intrica quando la coppia decide di assumere una tata (Nell Tiger Free) e questa tratta la bambola come se fosse un bambino vero.

Il genere di riferimento di Servant è il thriller, o addirittura l’horror, quindi è importante notare la cura che è stata dedicata alla regia degli episodi, alcuni dei quali sono stati diretti da Shyamalan stesso (compreso il pilota e il nono, il quale vanta una regia superlativa). È proprio la regia a trasmettere una tensione tangibile, spesso in contrasto con le situazioni raccontate. Laddove risulta più comprensibile ricreare agitazione in determinati contesti, invece Servant è capace di costruirne anche in situazioni più ordinarie: per esempio, la semplice sfilettatura di un pesce diventerà morbosa, così come la casa assumerà quasi un’individualità propria, grazie alla gestione degli spazi che la fa apparire minacciosa. Quindi la regia, con i movimenti di macchina improvvisi e gli obiettivi grandangolari che alterano i personaggi, insieme alla fotografia, che crea contrasti e angoli bui anche di giorno, e le musiche, sono gli elementi della direzione artistica che lavorano con una competenza rara da trovare in una serie TV.

Il problema di Servant si presenta nella scrittura, poiché la serie pecca di una gestione altalenante del plot narrativo. Non è difficile battersi in episodi allungati che aggiungono poche e confusionarie informazioni, le quali vengono trascurate o minimizzate per poi restare fini a se stesse. Vengono aggiunti personaggi stravaganti che risultano inconsistenti, o peggio, la scrittura di molti di quei dialoghi che dovrebbero finalmente essere esplicativi viene forzata verso una direzione solenne ma poco comunicativa. Lo scioglimento del mistero non è perfettamente sostenuto dalla scrittura, la quale sembra più concentrata ad accrescere la curiosità attraverso la diffusione di indizi su indizi, spesso illogici.

La sensazione finale quindi è insoddisfacente, almeno in parte: se Servant è contraddistinta per un’ottima regia, d’altra parte un racconto così indecifrabile richiedeva un approccio meno approssimativo, se non altro in alcuni punti. Il mistero è bello quando viene, prima o poi, decifrato e forse verrà decifrato definitivamente nella seconda stagione, già annunciata.

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