STEVE JOBS – DIETRO IL MITO

Può Danny Boyle rivoluzionare il modo in cui il mito di Steve Jobs è stata fino ad ora rappresentato, così come lo stesso Steve Jobs ha stravolto il mondo della comunicazione e dell’informazione? È questa la scommessa che permea e accompagna lultima opera di un regista che, fuori da schemi e convenzioni, appare il più adatto a raccontare ed umanizzare il simbolo del think different.
1984 «Tutto il mondo aspetta l’uscita del Macintosh» afferma un risoluto Steve Jobs (Michael Fassbender) di fronte alle insistenti preoccupazioni di Joanna Hoffman (Kate Winslet), collaboratrice fidata e ideale surrogato materno. È il momento del lancio del primo Macintosh. C’è forte aspettativa nei confronti dell’ informatica di massa che sta per dire hello al mondo, o almeno dovrebbe. La sala è piena. Le luci si accendono. Il sipario si alza. Ed è a quel punto, nel momento di massimo climax, che la scena si interrompe. Bruscamente, senza spiegazione. Quel tanto atteso avvenimento che doveva inaugurare il futuro, è totalmente negato alla vista dello spettatore, attraverso un espediente visivo e narrativo, che ricorrerà costantemente.

Film Title: Steve Jobs

«Sin dall’inizio non avevo alcun interesse a realizzare un biopic classico», dichiara lo sceneggiatore Aaron Sorkin. Chi crede di assistere all’ennesimo inno celebrativo del Jobs visionario potrebbe quindi rimanerne deluso. L’opera di Danny Boyle, infatti, non solo trasgredisce le convenzioni del biopic, rifuggendo una semplice ricostruzione cronologica, ma offre e celebra un Jobs outsider. Se da I pirati della Silicon Valley, a Jobs, passando per Jobs. The man in the machine, un film sulla parabola dell’uomo-Apple, non è  una novità nel panorama cinematografico contemporaneo, nuova è invece la chiave di lettura su cui si regge Steve Jobs, il cui intento è quello di dipingere il ritratto atipico di un uomo atipico.

Non vi è spazio per il garage di Los Altos, il taglio anni settanta e l’aspetto da inguaribile sognatore. Il Jobs messo in scena da Danny Boyle non è nulla di tutto ciò. E’ un uomo complesso ed intrigante. Maniacale ed arrogante. Ma soprattutto inafferrabile ed indefinibile, così come inafferrabili sono le fugaci istantanee che lo delineano. Un film non di azione ne di celebrazione ma “di camerino”, di retroscena. Ciò che si racconta è l’attimo prima, il dietro le quinte emotivo e personale di una delle icone più note, idolatrate ed abusate del nostro tempo, avendo cura di mettere in evidenza il “lottatore prima dell’incontro sul ring”, l’uomo dietro il personaggio, il lato umano dietro la figura pubblica.

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«I musicisti suonano gli strumenti, io dirigo l’orchestra». Se un’orchestra non può fare a meno di un direttore che la animi, un film non può vivere senza quello che è suo scheletro. La sceneggiatura firmata da Sorkin non è solo la base, ma anche il motore, il cuore pulsante, e il necessario centro gravitazionale dell’opera. Ricalcando il canonico schema narrativo in tre atti, tanto il film, quanto la vita del protagonista, vengono ridotte a tre singoli istanti topici. Tre “atti unici”, ambientati in tre sole location e affidati a tre differenti formati. Dal fallimentare lancio del primo Macintosh 128k (1984) e del NeXT (1988), fino alla gloriosa uscita dell’ Imac (1998), va in scena la travagliata consacrazione nell’Olimpo dei grandi, scandita da cadute, azzardi e intuizioni geniali.
È il tormentato rapporto con la figlia Lisa ad essere l’ideale filo conduttore del film e della carriera del protagonista (Lisa è il nome del primo Macintosh, così come il design dell’Imac ricorda lo schizzo realizzato dalla piccola con MacPaint). La graduale accettazione del ruolo di padre si accompagna così all’ascesa professionale di un uomo il cui fine era inventare il futuro, pur essendo incapace di vivere il presente e lasciarsi alle spalle il passato.
Sono quindi l’impianto della sceneggiatura e la caratterizzazione del protagonista, a rispondere al quesito iniziale. La coppia Boyle-Sorkin conferisce ,infatti, nuova linfa vitale al ritratto del fondatore della Apple, puntando su dialoghi serrati, e su un’acuta riflessione riguardante lo statuto del mezzo cinematografico e il potere pervasivo delle immagini. Steve Jobs mostra di conoscere appieno i bisogni del pubblico e non ne tradisce le aspettative, al pari dello stesso Jobs. «Ti metterò in tasca mille canzoni», promette alla figlia Lisa. E così ha fatto.

Flavia Ficoroni

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