#ROMAFF15: Fortuna, la recensione

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Non è facile parlare di Fortuna, primo lungometraggio di Nicolangelo Gelormini, presentato nella Selezione Ufficiale alla Festa del Cinema di Roma. Risulta quasi impossibile non restarne colpiti e non semplicemente per la tematica trattata ma soprattutto per il modo con cui il regista decide di trattarla mischiando sogno e realtà, evasione ed orrore, delicatezza e gravità.

Un orrore, quello degli abusi sui bambini, che è molto difficile da rappresentare attraverso un film e Gelormini sceglie di farlo accompagnando lo spettatore a piccoli passi verso una cruda realtà che non può essere rappresentata in altro modo se non con un film dell’orrore. Lo spettatore non comprende fin da subito il dramma che colpisce i bambini che abitano quel grande palazzo ma si immerge in una dimensione che non è quella reale ma quella vissuta da Fortuna, entra nella sua mente, nel suo mondo, cerca di capire il suo modo di affrontare il male.

Gelormini, nella prima parte del film, rende questa dimensione attraverso un 4:3 che amplifica tutto: lo spettatore vede con gli occhi di Fortuna, soffre con gli occhi di Fortuna, ha paura dell’altezza, del terrazzo di quel grande palazzo dove con i suoi amici la principessa Nancy-Fortuna si estranea. Nancy teme i fiori blu perché sono il simbolo di grandi figure spettrali pronte a farle del male, Nancy non parla volentieri con i suoi genitori, soprattutto con sua madre che nel sogno è interpretata da Valeria Golino, e per questo frequenta in maniera regolare una dottoressa, interpretata in questa dimensione surreale da Pina Turco, che però si interessa molto poco di lei.

Il sogno però finisce e il pubblico si ritrova catapultato all’inizio del film, ritorna a vivere le stesse cose insieme a Fortuna ma in un modo diverso. Ora, l’occhio del regista è quello di un narratore onnisciente che, però, si vergogna a sbattere in faccia la realtà allo spettatore che sta iniziando a capire il male di Fortuna. Fortuna e basta, non più Nancy. Ora un 16:9 ci riporta alla realtà, la dimensione in cui quella che nel sogno era la dottoressa in realtà è la sua vera mamma mentre quella che nel sogno era sua mamma in realtà è la psicologa. Una mamma che è lacerata dal dolore perché ignora il motivo per il quale la figlia non si lasci toccare da lei e una dottoressa che, poco prima del tragico epilogo, ha ben chiaro quello che stava succedendo tra i piani di quel palazzo. Gli uomini neri che nel sogno sono ombre nella realtà hanno un volto, hanno un ghigno malefico che deturpa i loro volti, un’espressione che angoscia lo spettatore che alla fine del film è terrorizzato. Impaurito da una musica spettrale che non lascia mai, durante il film, la possibilità di sperare in qualcosa di buono.

Solo alla fine, quando Fortuna già non è più di questo mondo, ritorna Nancy, quella principessa che non vive sulla Terra ma in un universo che non può essere neanche parallelo ma lontanissimo dove quello che Gelormini ci ha mostrato non succede perché l’abominio non è contemplato. In questa sua opera, il regista riprende dei fatti di cronaca e li mette in scena affidando all’implicito un monito per tutti coloro che in quel momento hanno visto quello che succede oggi a tanti bambini come Fortuna. Ogni adulto, dopo aver visto questo film, comprende che non esistono pianeti o universi paralleli dove i bambini rifugiano il proprio dolore ma c’è soltanto una realtà, quella che ci vede insieme tutti e dove queste cose non devono accadere. Mai.

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