#ROMAFF15: De nos frères blessés, la recensione

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Può bastare una storia potente, magari tratta da una vicenda significativa della storia recente, per realizzare un buon film? È questa sostanzialmente la domanda che resta dopo la visione di De nos frères blessés (teaser), film di Hélier Cisterne tratto dall’omonimo romanzo di Joseph Andras (in Italia Dei nostri fratelli feriti) presentato all’ultima Festa del Cinema di Roma.

Il film ruota attorno alla vicenda di Fernand Iveton, l’unico pied noir (cittadino algerino di origini francese) ad essere stato giustiziato durante l’occupazione francese in Algeria. Iveton era stato catturato con l’accusa di tentata strage, per aver piazzato una bomba sul suo posto di lavoro. La realtà dei fatti però non coincide a pieno col giudizio – evidentemente falsato – emesso dal tribunale militare. Il giovane operaio aveva sì piazzato una bomba ma con l’intento di lanciare un messaggio al governo, in un luogo remoto della fabbrica e fuori dall’orario di lavoro, così da non poter ferire nessuno.

Dopo casi come il celebre L’ufficiale e la spia ci ritroviamo di nuovo nelle zone di un cinema di denuncia, vista soprattutto l’insabbiatura – ancora attuale – del caso Iveton (molti dei documenti infatti sono tutt’oggi classificati come “segreti di stato”). Il problema, però, con il trascorrere dei minuti è che queste sono solo le aspirazioni di Cisterne. Il regista infatti, pur contestualizzando alla perfezione attraverso pochi elementi l’oppressiva presenza dei coloni (le ricorrenti bandiere francesi e le intimidazioni rivolte a Fernand e i suoi amici), decide di concentrarsi su tutt’altro. Focus principale della pellicola sarà la relazione tra Fernand (Vincent Lacoste) e Hélène (Vicky Krieps), dalle origini (l’appassionato ballo a Parigi) fino ai loro ultimi contatti ostacolati dalle sbarre (evidente il richiamo a Diario di un ladro di Bresson).

La struttura di De nos frères blessés, pur essendo circolare (inizia e finisce con due prospettive dell’esecuzione di Fernand) sembra ancor di più enfatizzare la complessità, attraverso l’alternanza tra flashback e presente, di questo rapporto ostacolato dalla sopracitata condizione degli algerini sul finire degli anni Sessanta. Seppur, comunque, di grande interesse, la relazione tra queste due anime, unite anche da una mancata conoscenza del concetto di libertà (i due si conosceranno quando Hélène è in fuga dalla Polonia controllata dall’Unione Sovietica), il film di Cisterne stenta a prendere il volo. Discorso valido anche nelle scene più intense tra i due interpreti, capaci comunque di restituire due ottime performance.

Tornando quindi alla domanda iniziale, due potrebbero essere le risposte: no, ma in parte sì. Perché nelle immagini di Cisterne, contornate da citazioni di Mitterrand e dalle ultime parole dello stesso Iveton (rispettivamente all’inizio e alla fine), resta comunque la capacità del cinema, seppur nella drammatizzazione, di farci conoscere e di scolpire nel tempo vicende da ricordare come quella di Fernand Iveton.

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