Quando eravamo fratelli, un’altalena di euforia e lacrime

Il panorama del cinema indipendente degli ultimi anni si sta facendo sempre più prolifico ed interessante. Ce lo dimostra magistralmente Jeremiah Zagar con la pellicola Quando eravamo fratelli, ispirata al romanzo d’esordio scritto da Justin Torres. Prodotto da Cinereach e Public Record, il lungometraggio si è guadagnato il primo posto al Sundance Film Festival nel 2018 e 5 candidature agli Spirit Awards. Girato interamente in pellicola 16 mm,Quando eravamo fratelli arriverà nelle sale italiane con I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection a partire dal 16 maggio.

La struttura è quella classica del dramma. Tre fratelli – Manny, Joel e Jonah – si fanno largo nell’infanzia e rispondono come possono all’affetto mancante dei genitori. Mentre Manny e Joel crescono somigliando al padre, Jonah esplora e sogna un mondo immaginario tutto suo. Un vero archetipo del cinema drammatico, questo, che il regista è riuscito a portare sul grande schermo con delicatezza e novità. Il film tocca il limite dell’autorialità in cui nulla è lasciato al caso: le inquadrature rimandano chiaramente alla Nouvelle Vague in cui ogni scena è creata per catturare lo splendore del vero, come disse Jean-Luc Godard. L’attenzione al dettaglio dell’ambientazione e il casting centrato, fanno di Quando eravamo fratelli un prodotto comunque gradevole per un target di tutte le età.  

Non ci sono scene madri o enfasi eccessiva, il film è tutto ammantato di un minimalismo smaliziato. Il ritmo è lento ma allo stesso intenso. Jonah, di nascosto dai fratelli, ogni notte disegna su un quaderno che custodisce segretamente sotto il materasso: quegli stessi disegni diventano animati e danno un tocco di ‘verosimiglianza’ e incisività alla creatività del fratellino più piccolo. Col passare degli anni, però – il regista ha atteso realmente più di dodici mesi per mostrarci gli attori cresciuti – Manny e Joel vengono trascinati dall’irresistibile vortice dello sbando e tra fumo e alcol si coalizzano contro Jonah. Da parte dell’autore si percepisce una forte empatia che sconfina con l’immedesimazione. La macchina da presa, infatti, non li perde mai di vista. Vuole renderci partecipi delle loro vite.

La natura ricopre un ruolo fondamentale. A partire dalla campagna in cui vivono, dalle chiome degli alberi, fino alla presenza dell’acqua del lago, ogni luogo assume un significato chiave nelle vite dei bambini.

Jonah e sua madre non sanno nuotare. Un giorno suo padre decide di insegnarglielo e dopo essersi aggrappati a lui, quest’ultimo molla la presa lasciandoli quasi annegare. Sarà proprio quel trauma e quel ricordo ricorrente a legarlo ulteriormente alla madre. Il riferimento dell’acqua è sottile: le ‘acque’ in cui si vive prima di venire al mondo (quindi congiunto alla maternità) e riconoscere la propria natura sessuale.

Frutto di una sceneggiatura formidabile, questo film è una storia di crescita efficace e potente in grado di dar vita a delle splendide sequenze che ritraggono il mondo interiore e i dissidi del protagonista; tutto avviene come in un buon romanzo di formazione. La visione del film trascina lo spettatore in un vortice di euforia e lacrime. Quando eravamo fratelli non lascia scampo: alle emozioni non si può sfuggire.

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