Magari, recensione del film di Ginevra Elkann

Tre fratelli, Alma, Jean e Sebastiano, vanno dal padre per le festività. Mentre la madre vuole ricostruirsi una vita in Francia, il padre (Riccardo Scamarcio), è uno sceneggiatore in crisi sia economica che creativa. Durante la vacanza trascorsa nella casa di famiglia al mare, è presente anche l’assistente del padre, Benedetta, interpretata da Alba Rohrwacher. Nel giro di due settimane tutte le problematiche della famiglia e la complicatezza dei rapporti famigliari verranno fuori. È questa la trama di Magari, il primo film diretto da Ginevra Elkann uscito on demand su Rai Play e ambientato negli anni Ottanta.

La storia è raccontata dal punto di vista di Alma, la più piccola dei fratelli, interpretata da Oro De Commarque. Il suo personaggio tenero, dolce e ingenuo rispecchia il veor desiderio di avere la famiglia unita come una volta, un momento di convivenza comune che non ha potuto conoscere a causa dell’età troppo giovane. L’esperienza e la voglia di vedere la famiglia insieme si palesa anche in Sebastiano, nei cui panni c’è Milo Roussel, adolescente, e Jean, ben interpretato da Ettore Giustiniani. Quando il padre si allontana da casa spetta a lui badare al resto della famiglia; ciò genera delle incomprensioni specialmente quando, come il padre, ha un interesse per Benedetta. A conclusione dei figli c’è Jean, il più “dreamer” di tutti, ragazzo che si lascia affascinare dalla tv. La triade vive quest’esperienza comune, a qualsiasi costo.

Nella vita sono diverse le tipologie d’amore che si affrontano e in questo film ne vengono elegantemente messe in scena diverse. I figli provano un forte sentimento di rancore nei riguardi dei genitori mentre e Magari può essere definito come un meccanismo di interpellazione indiretta, perché ruotando attorno alle angolazioni più disparate dei rapporti familiari, chiede allo spettatore di coglierle; più ne riconosce, più ne ha vissute.

Per quanto riguarda il lato tecnico la giovane Elkann tende a “riempire” le inquadrature, denotando un forte interesse per la messa in scena; ogni inquadratura sembra un quadro i cui colori sono ben dosati e distribuiti. Il suono, le musiche e gli effetti sono quasi assenti, proprio per rendere ancora più “vicino” lo spettatore, come gli innumerevoli primi piani. La rottura della quarta parete avviene come un climax vissuto dall’inizio alla fine, nel momento in cui Alma guarda dritto davanti a sé. Magari è un film di cui, timidamente, sentivamo il bisogno di vedere.

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