L’uomo del labirinto, nei meandri della mente

L'uomo del labirinto, nei meandri della mente

“Questo è un gioco”. Quindici anni dopo il proprio rapimento, Samantha Andretti (Valentina Bellè) si ritrova in un letto d’ospedale assistita da un profiler (Dustin Hoffman) il cui compito è trovare il mostro che l’ha segregata così a lungo. L’unico modo è aiutare la ragazza a far ordine nella propria memoria e uscire dal limbo di confusione di cui è prigioniera. Allo stesso tempo Genko (Toni Servillo), un insolito investigatore privato, dovrà fare i conti con una verità amara che lo spingerà a fare tutto il possibile per giungere alla verità sul caso di Samantha; ma questa ultima e inquietante indagine si rivelerà quanto mai sconcertante, al limite dell’assurdo.

Donato Carrisi, dopo il successo de La ragazza nella nebbia, sceglie nuovamente di adattare come regista un proprio romanzo. L’uomo del labirinto (trailer) è un mind game film e pertanto la distinzione tra realtà e fantasia, concretezza e allucinazione è davvero sottile nel territorio in cui si svolge questo gioco letale: la mente. La distorsione psicologica degli eventi, a cui assistiamo insieme a personaggi che spesso si rivelano spettatori perfino più disorientati e increduli di noi, è veicolata da un linguaggio cinematografico altamente metaforico e che attinge a simboli e immagini dell’horror e in generale del fantastico. La surreale dinamica del  rapimento iniziale ricorda It; le sembianze antropomorfe del killer e le sue apparizioni improvvise ed evanescenti conducono all’associazione con il cult Donnie Darko, con il quale L’uomo del labirinto condivide anche il sentore di un destino apocalittico, un inferno di fuoco e fiamme che sta consumando il mondo che conosciamo. Da notare gli ammonimenti catastrofisti trasmessi alla radio e ascoltati da un personaggio che indubbiamente è destinato a un incontro incombente con la morte.

Sto inseguendo un coniglio… sto inseguendo un maledetto coniglio in fondo all’inferno” dice Tony Servillo. L’indagine ossessiva di questo investigatore bizzarro rispecchia la tumultuosa ricerca esistenziale di chi quasi giunto al traguardo del proprio percorso percepisce l’esigenza di espiare i peccati passati e trovare un senso alla propria inutile permanenza in questo mondo. Una corsa contro il tempo scandita da registrazioni audio testamentarie e viaggi in auto che ricordano i monologhi fuori campo dei disperati personaggi di Sin City. E anche qui lo sfondo è una fatiscente città, colorata ma altrettanto irreale e fumettistica. Nulla è naturalistico e la fotografia è caratterizzata da colori molto caldi, innaturali e psichedelici. Tinte che spesso saltano all’occhio ed evocano atmosfere irreali e oniriche, come nel caso della stanza dell’escort Linda, dove ricorre insistentemente la simbologia dell’unicorno.

Un altro parallelo interessante da sottolineare è con la filmografia di David Lynch, esempio altissimo di indagini investigative che sconfinano sublimemente nel territorio perturbante dell’inconscio. Tra i riferimenti di Garrisi, soprattutto per quanto concerne la gestione della suspense e la caratterizzazione dell’antagonista, è sicuramente da segnalare anche Hitchcock e in particolare Psyco, così come thriller anni ’90 quali ad esempio Il silenzio degli innocenti.

A dividersi la scena due grandi attori del calibro di Tony Servillo e Dustin Hoffman, ognuno perfetto e magistrale nella rispettiva parte, l’uno nemesi dell’altro, ma è ipnotico anche il talento della giovane Valentina Bellè, finalmente alle prese con un ruolo idoneo alle sue ottime potenzialità e in cui commuove con un’interpretazione molto fisica e piena di pathos.

L’intreccio narrativo è alquanto stratificato e complesso, volutamente fuorviante e apparentemente confusionario. A un certo punto della visione la sceneggiatura sembra sprofondare in un nonsense destabilizzante, ma effettivamente poi il puzzle si ricompone e le restanti zone d’ombra si giustificano amalgamandosi al dominio generale dell’irrazionalità e al fallimento della logica nel mondo interno e remoto della psiche. L’uomo del labirinto oggettivizza visivamente il limbo oscuro della mente, il subconscio in cui dimorano paure e ricordi reconditi. Un abisso di mistero che ci portiamo dentro.

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