Luigi Andrei racconta le riprese di The Dreamers – I sognatori

Luigi Andrei

Tra i film più apprezzati di Bernardo Bertolucci vi è senza ombra di dubbio The Dreamers – I sognatori, uscito nel 2003. Luigi Andrei, operatore di macchina del film, ci svela qualche retroscena delle riprese.

Caro Luigi, questo film credo sia stata una delle tue esperienze professionali più interessanti.

Sì, mi ha molto segnato, e ne conservo dei ricordi ancora molto nitidi. L’abbiamo girato interamente a Parigi, per undici settimane. Le riprese sono partite il 15 luglio 2002. Per gli interni è stato preso in affitto un intero palazzo nel centro di Parigi, dove al piano terra c’erano molte sale per ogni reparto utile alla troupe (operatori, trucco, macchinisti, ecc.), una saletta di proiezione, oltre che un ufficio tutto per Bertolucci. Al primo piano è stato ricostruito tutto l’appartamento della casa nella quale è ambientata la storia, mentre all’ultimo piano c’erano le soffitte, dove abbiamo girato altre scene.

Che rapporto hai avuto con Bertolucci?

Uno di quei rapporti che davvero ti restano dentro. Già a quei tempi non camminava benissimo, stava iniziando ad avere quei problemi di deambulazione, che lo avrebbero poi costretto alla sedia a rotelle. Ricordo proprio come fosse stato un minuto fa quando, fischiettando, mi afferrava il braccio mentre scrutava lo spazio da filmare con il mirino, quello storico con il quale aveva realizzato quasi tutti i suoi film. “Io l’ho guardata con il ’40, hai capito?” mi diceva spesso. Non mi dava altre indicazioni dal punto di vista della mdp, mi lasciava fare parecchio, anche perché non preparava proprio le inquadrature, era il suo metodo. Per molte scene ho usato molto anche la steadicam

Che relazioni si erano create tra i tre protagonisti? Michael Pitt, Eva Green e Louis Garrell si erano affiatati anche al di fuori del ciak?

Decisamente sì. Michael Pitt era un tipo di una certa sensibilità, anche se più introverso e riservato degli altri due. Non dava adito a troppe chiacchere. Aveva gusti un po’ punk, che lo caratterizzavano non poco. Per il suo ruolo si era pensato a Leonardo Di Caprio, che però non ha accettato per impegni vari. Eva Green era stupenda, dolcissima, naturalmente bellissima, e quasi sempre nuda. Tutti gli attori erano spesso nudi, e ormai giravano per casa (il set) nudi e disinvolti. Con Eva avevo un po’ di difficoltà a comunicare, perché non parlava inglese, e io non parlavo francese. (ride). Louis Garrell era il più giovane di tutti, ma nonostante questo si è lasciato trasportare da Bertolucci, come gli altri due d’altronde, in una maniera incredibile. Lui grazie a Dio parlava un po’ meglio in inglese, che sul set era comunque la lingua maggiormente utilizzata per poter comunicare.

Luigi Andrei

L’atmosfera sensuale del film avvolgeva anche voi della troupe?

Assolutamente, c’era un grande trasporto da parte di tutti. Come Bertolucci ne ho conosciuti solo due o tre al massimo capaci di motivare la troupe fino a quel livello. Anche se alcune volte ero in imbarazzo. In una scena dovevo avvicinare la mdp al corpo nudo della Green, o a quello di Garrell, proprio a 20/30 cm, e mostravo un po’ di esitazione nel farlo, fino a quando Bernardo non ha gridato, con la sua mitica “r” moscia “Scorri su quei corpi, non avere paura!”. In un’altra scena Michael baciava tutto il corpo nudo di Eva, partendo dai piedi. In quel momento ero proprio appiccicato a lei, e scorrevo con un carrello insieme a Pitt lungo il corpo a 20 centimetri, e vedevo davvero tutto, nei minimi dettagli, quasi come fossi un ginecologo. Sul set c’era una sorta di sacralità assolutamente inconsueta per un film del genere. Ricordo molto bene le proiezioni serali a fine lavorazione con Bernardo, sempre e rigorosamente accompagnate da un buon calice di vino bianco, quasi d’obbligo. Durante la proiezione se c’era da elogiare qualcuno per il lavoro svolto Bertolucci lo elogiava, e se, allo stesso tempo, c’era qualcuno da rimproverare non si tratteneva dal farlo.

È stato faticoso girare la corsa nei corridoi del Louvre?

Faticosa no, anche perché, ripeto, Bernardo aveva le idee molto chiare quando si girava.

È vero l’aneddoto di Eva Green che stava per bruciarsi davvero i capelli nella scena a tavola?

Non “stava”, si è bruciata veramente i capelli! Ma Michael prontamente li ha spenti e la scena è finita nel film naturalmente. Come tutti i grandi registi quando accadeva qualcosa in scena di non pianificato, Bernardo ne era assolutamente affascinato.

C’è stata una scena difficilissima da girare?

In realtà non saprei, sono stato incoscientemente abbastanza tranquillo e sicuro di me. Certo una cosa in particolare è stata un vero incubo: l’inquadratura che poi è stata usata per i titoli di testa. Bernardo mi aveva detto che voleva una panoramica di almeno un minuto a scendere dalla cima della Torre Eiffel fino a trovare il primo piano di Michael. Facile a dirsi! Andammo a girarla in troupe ridotta, con un 300 mm, e una testata a manovelle. Dopo una decina di secondi di panoramica attraverso tutte quelle strutture di ferro si perdeva completamente il senso dello spazio, mi ricordo che quasi ti girava la testa… e poi dopo un minuto di travi di ferro senza orientamento dovevi andare a cercare il “faccione” di Michael a 6 o 7 metri di distanza dalla macchina da presa che camminava con passo svelto verso di noi (io e il mio Focus Puller Alessio, un mostro di bravura). Un vero incubo!

Luigi Andrei

Alcune scene sono state tagliate?

Me ne ricordo una in particolare. Quando i tre protagonisti non hanno più nulla da mangiare in casa, Pitt e Garrell scendono nel cortile e iniziano a raccogliere resti di cibo dai bidoni, con i quali poi preparano una sorta di ratatouille che Michael per ovvie ragioni non riuscirà ad ingerire. Nel film non è rimasta la scena che spiegava quel passaggio, con Garrell a “fare la spesa” in mezzo all’immondizia munito di un grande vassoio, quasi come fosse al mercato, sotto gli occhi terrorizzati di Pitt.

Qualcosa di particolare sulla regia di Bertolucci?

Con lui era capace che l’inquadratura iniziavi a girarla in un modo e poi la stessa finiva in un altro. “Perché finiamo così?” mi chiedevo. Non ci crederai, ma se c’era bisogno di girare un’inquadratura che era la continuazione dell’altra all’interno di una scena, e tra le due trascorrevano due settimane (dato che non sempre giri per ordine), il risultato che trovava Bernardo era giusto, al punto da farti pensare che tra un’inquadratura e l’altra non erano passate due settimane ma due minuti. Era anche un maestro di vita. Ricordo una delle ultime cose che mi ha detto quando abbiamo finito il film “Mi raccomando stai attento a non rovinarti le ali!”. Per lui evidentemente dovevo continuare ad avere quella fantasia che lui mi ha stimolato e spremuto nei movimenti della macchina da presa. Come nella scena della venere di Milo, ha guardato la stanza, sempre attaccato al mio braccio e fischiettando, poi mi ha detto: “Ci sono tanti dettagli nella stanza che vorrei vedere…ma vorrei nello stesso tempo anche un totale…dai vediamo cosa farai!” Mi sono inventato un carrello “libero” (senza binario) con lo zoom, e dopo aver dettagliato alcuni oggetti stretto con lo zoom, ho allargato l’inquadratura sfruttando un passaggio su uno specchio. Il giorno dopo in proiezione ha detto a tutti: “Oggi vediamo cosa ha fatto Luigi nella stanza della Venere” (da quel giorno l’abbiamo chiamata tutti così naturalmente), devo dire che è stata una grande soddisfazione… Dopo aver visto l’inquadratura, e dopo un attimo di silenzio, Bernardo mi ha battuto le mani, e naturalmente tutti gli sono andati dietro. Uno di quei momenti che valgono tutti i sacrifici fatti!

Negli anni a venire il vostro rapporto è proseguito?

Diciamo di sì, anche se non ho poi accettato di prendere parte al suo successivo e (purtroppo) ultimo film, Io e te (2012). Non me la sentivo di girare tutto un film dentro una cantina. Era un film un po’ limitato per certi aspetti, avrebbe potuto fare molto di più in quegli ultimi anni. Ma non dimentichiamoci che anche la sua salute era alquanto limitata, come diceva Fellini “La prima cosa per poter fare cinema è la salute”, per cui quello era forse l’unico tipo di cinema che ormai poteva realizzare, ovvero una storia tutta praticamente risolta in un unico interno. Per usare sue parole, non credo che sarei riuscito a “volare” più di tanto.

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