LA RAGAZZA SENZA NOME – QUAL È IL MISTERO DEI DARDENNE?

Ogni tanto andiamo al cinema, ma ormai guardiamo soprattutto serie tv dal nostro comodo divano. Così siamo diventati tutti dottori: anni e anni di medical drama hanno forgiato una generazione di intenditori e cultori dell’Arte medica in grado di venire a capo dei sintomi più fantasiosi – o almeno così crediamo. Per non parlare della proliferazione di crime series nei palinsesti televisivi – ma il giallo è sempre stato un genere apprezzato. Non è un caso, però, che il medical insieme al crime drama rappresenti circa il 50% della produzione seriale americana. Alla base c’è sempre il mistero, la curiosità e la maniacalità nel rimettere a posto i pezzi del puzzle che intriga lo spettatore, coinvolgendolo nel vivo dell’indagine. Direi che funziona, ma non è certo questo il caso dell’ultimo film dei fratelli Dardenne, La ragazza senza nome (La fille inconnue). I due registi belgi intraprendono prudentemente questa strada, ma non siamo in America, non siamo in una serie tv e qui anche i caratteri del genere non hanno una grande tradizione. È sempre un film dei Dardenne.

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L’omicidio di una ragazza sconosciuta diventa il pretesto di un indagine all’interno della comunità dei residenti di un quartiere di Liegi, dove lavora la giovane dottoressa Jenny Davin (Adèle Haenel). E fino a qui potrebbe anche trattarsi dei primi passi dentro un giallo di Agatha Christie, ma ormai questo mondo per noi non ha più misteri e viene quindi lasciato sullo sfondo di un’indagine più attuale. Non abbiamo molti indizi, solo un volto immortalato dalle telecamere di sorveglianza dello studio della dottoressa, che quest’ultima custodisce nell’onnipresente iPhone per sottoporla ai pazienti dello studio, con la speranza di potergli darei un nome. La ragazza aveva cercato di mettersi in salvo suonando alla porta dello studio, ma, visto l’orario serale, la dottoressa aveva scelto di non aprire e ora si ritrova a dover fare i conti con la responsabilità di questa scelta. I sensi di colpa che si riflettono sull’intera comunità (e società) sembrano non ammettere soluzione. «Un medico non può lasciarsi sopraffare dalle emozioni», ma queste evidentemente non obbediscono al nostro volere, non si comandano, rimanendoci sempre un po’ oscure, misteriose e per questo affascinanti.

Un film e un personaggio che non hanno una vera e propria evoluzione, sono privi dell’azione o della suspence che la premessa sembra suggerire, ma piuttosto, sembrano voler ancorare l’intera narrazione a una vicenda piatta, quasi noiosa. Questo perché siamo “educati” ad aspettarci qualcosa d’altro. Riconosciamo e ricostruiamo alcuni dettagli in funzione di quello che siamo abituati a guardare ogni giorno – e raramente si tratta di film d’autore in francese – cercando un mistero che non vuole esserci e rimanendo inevitabilmente delusi. Ma non è forse questa aspettativa a fare di noi gli unici “colpevoli”?

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