INTERVISTA AL DIRETTORE ARTISTICO DEL NAPOLI FILM FESTIVAL

Nel pieno della Mostra del Cinema, in fila per assistere a Voyage of Time: Life’s Journey di Terrence Malick, incontriamo Mario Violini, cinefilo di assidua frequenza veneziana (ci viene dal 1980) e direttore artistico del Napoli Film Festival. A lui che ne organizza uno da 18 anni, ci sentiamo di chiedere quale senso abbia oggi andare a un festival cinematografico, e soprattutto con quali aspettative di visione.

Intanto perché i film si vedono in sala, e non è poco, dopo che si è tanto parlato dell’ennesima morte del cinema e di nuove intermediazioni e rimediazioni digitali. Le nuove tecnologie hanno ampliato i contesti fruitivi ma l’esperienza di guardare un film resta fortemente legata all’emotività off-line della sala cinematografica. In principio doveva essere la televisione a uccidere il cinema. All’inizio degli anni ’90, nel 1992 mi pare, proprio qui a Venezia, Dino De Laurentiis descrisse le videocassette VHS come tante piccole bare in cui avremmo seppellito il cinema. Invece il cinema è sempre lì, uguale a come lo abbiamo sempre amato. Possono cambiare i dispositivi per riprendere la realtà e si possono modificare ancora gli apparati di proiezione ma l’esperienza dello spettatore nella sala buia resta unica. È come andare al ristorante per un buongustaio… e il festival è roba da gourmet.

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Assistere alla Mostra del Cinema di Venezia, vedendo fino a 5 o 6 film al giorno, vuol dire transitare sugli schermi di tutto il mondo e avere una quantità enorme di opere a disposizione. Ovviamente ciò che caratterizza un festival non è il numero di film che vi concorrono, anche perché replicare l’offerta di rassegne come Venezia o Cannes sarebbe impossibile, ma la partecipazione a un evento dove nuovi cineasti hanno modo di farsi conoscere. È semplicemente questo lo spirito del NFF o ha un ambito di specializzazione?

La produzione di film con l’avvento del digitale si è moltiplicata e anche se il numero di festival è elevato sono sempre di più i film che non raggiungono le sale e il pubblico, tanto che i festival sono considerati da alcuni distributori quasi un circuito vero e proprio. È proprio grazie ai festival che molte opere indipendenti hanno la possibilità di essere viste e alcune anche distribuite. Non è un caso se il NFF mette in palio, nelle varie sezioni di concorso, la stampa di 5 copie DCP per invogliare i distributori ad acquisire i diritti di sfruttamento per l’Italia dei film vincitori.

Uno degli scopi dei festival è quello di contribuire allo sviluppo del turismo nelle città che li ospitano, anche la Mostra di Venezia nacque per rilanciare la stagione balneare al Lido. Il rapporto con il territorio è fondamentale, cosa fa il NFF per la città di Napoli?

Napoli ha una popolarità a livello mondiale ed è la città stessa a fare da traino per l’invito degli ospiti al festival. Attorno alla nostra manifestazione girano oltre 10.000 spettatori a settimana e circa la metà proviene da altri luoghi, creando un buon indotto per le società dedite al turismo. Il NFF, poi, è ben calato nella realtà attraverso le collaborazioni con enti locali, università, scuole, registi campani esordienti e con gli altri festival della regione, con i quali ci siamo stretti in un coordinamento per un reciproco sostegno e una cooperazione per i servizi e la scelta delle date.

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Scena tratta dal primo episodio di “Ieri, Oggi e domani” girato a Napoli

I festival erano un luogo dove i film si mettevano in “mostra”, appunto, per essere comprati e distribuiti. Oggi non sono più posti solo per addetti ai lavori e appassionati ma aperti a un pubblico sempre più vasto che partecipa alla promozione dei film sui social. Non essendo stati distribuiti, poi, non sono ancora visibili in streaming, può svilupparsi, secondo lei, un circuito di visione festivaliero del cinema indipendente come pratica di consumo diffusa?

I festival sono già un circuito alternativo per i piccoli film indipendenti o di nazioni poco commerciali. La Rete può valorizzarli: lo stimolo dei social è utile per far si che i migliori e invisibili diventino dei “casi” che sfruttando il passaparola possono raggiungere le sale di proiezione, le TV o i canali alternativi internet.

L’organizzazione del NFF è frutto di un lavoro di squadra, aperto ai contributi creativi di altri artisti?

Certamente, al nucleo storico centrale si affiancano di volta in volta giornalisti, attori, critici che suggeriscono iniziative, propongono ospiti e tutte le proposte sono attentamente vagliate e poi realizzate con l’apporto di tutti.

Il termine festival racchiude diversi significati, ma è il rapporto con il proprio territorio a renderlo riconoscibile rispetto a tutti gli altri. Abel Ferrara, cui avete dedicato una retrospettiva, ha girato un film durante la permanenza a Napoli, Mike Figgis ha tenuto un concerto, Jonathan Demme ha voluto incontrare Enzo Avitabile, avete in programma altre connessioni tematiche o manifestazioni parallele, musicali ad esempio?

Il nostro specifico resta quello cinematografico, molte manifestazioni hanno messo in secondo piano il cinema a vantaggio di concerti e altri eventi per poter sbandierare numeri di presenze che il cinema da molto non è in grado di garantire. Attualmente noi restiamo legati al nostro specifico e continuiamo ad avere un saldo rapporto con la città favorendo la presentazione di opere napoletane sia nella Sezione Schermo Napoli sia nelle serate con ospiti.

In una immaginaria mappa geocinematografica, dove collocherebbe il NFF, più vicino a Venezia o a Sundance?

Diciamo che nel nostro piccolo siamo una Venezia con lo spirito del Sundance.

Sono molte le competenze richieste a un organizzatore di festival e innumerevoli le cose di cui deve occuparsi, dalla sede al pubblico, dai finanziamenti alla pubblicità, dai film agli eventi collaterali. A proposito, chi sceglie i film?

I budget limitati costringono il nucleo organizzatore a occuparsi di tutti gli aspetti, da quelli creativi a quelli amministrativi, senza dimenticare l’ospitalità in tutte le sue sfaccettature (dagli alberghi ai pasti ai trasporti alle gite per far trascorrere un piacevole periodo agli ospiti). La selezione dei film fa capo a me, direttore artistico, per il concorso internazionale e le retrospettive, quest’anno il concorso Nuovo Cinema Italia ha visto coinvolto il portale cinemaitaliano.info mentre Schermo Napoli fa capo ad un altro gruppo di collaboratori storici.

Un festival è un sistema di relazioni complesso, difficile da gestire se non si hanno buone capacità organizzative. Esiste secondo lei la professione del festival-manager, dedicata esclusivamente a questo tipo di progetto culturale, evento per sua natura temporaneo, con competenze specifiche sull’intero processo: dall’idea alla pianificazione alla realizzazione? A queste persone verrebbero richieste competenze molteplici, che vanno dal marketing all’informazione, dalla storia del cinema alle nuove tecnologie della comunicazione, dall’accoglienza alla sicurezza delle location, alla logistica. Può essere un mestiere per i giovani?

Esistono addirittura dei corsi e dei master che preparano tale figura, il problema è che, salvo i festival superfinanziati (se ne contano una decina in Italia) in cui il direttore-manager riesce a staccarsi un buono stipendio, per il resto mi pare improbabile che tale mestiere riesca a dare da vivere…

Quale location avrà quest’anno il NFF e in quali date si svolgerà?

Come è avvenuto negli ultimi anni il NFF è realizzato nel quartiere Chiaia, nel centro della città, in quattro sedi: la Multisala Metropolitan, Institut Français, il Palazzo delle Arti Napoli (PAN) e l’Istituto Cervantes.
Le date vanno dal 26 settembre al 2 ottobre.

Sarà esattamente tra la Mostra del Cinema di Venezia e la Festa del Cinema di Roma, quali sono i motivi per venirci?

A parte godere delle bellezze di Napoli, per vedere un buon cinema contemporaneo o del passato scoprendo nuovi autori e assistendo, come è già capitato, all’esordio di qualche futuro premio Oscar.

Dove trovare info e programmi?

Dal 20 settembre sul sito internet www.napolifilmfestival.com o sulle nostre pagine Facebook (oltre 40.000 contatti nell’anno, più di 100.000 durante il festival) e sugli altri social.

Roberta Fiaschetti 

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