I soliti sospetti e la rimediazione della realtà: sulle tracce di Soze

I soliti sospetti

Quando uscì il 25 gennaio del 1995 I soliti sospetti (qui il trailer) non solo rivoluzionò gli stilemi del giallo, ma fece anche da apripista a pellicole celebri come Seven (uscito nel settembre dello stesso anno) e, più tardi, alla saga di Saw-l’Enigmista. Alcuni dei punti nodali del film diretto da Bryan Singer e scritto da Christopher McQuarrie sono il diverso utilizzo dei generi, il giocare con la verità e con la percezione e il dare l’impressione allo spettatore di aver capito tutto.

I soliti sospetti inizia con un flashforward: un omicidio, per poi proseguire come un qualunque film di azione ed evolvere lentamente ma inesorabilmente verso il giallo-thriller. Sul piano diegetico in primo piano c’è il rapporto tra McQuarrie (sceneggiatore) e Kevin Spacey (uno dei protagonisti del film). Spacey/Verbal-Soze è lo sceneggiatore e regista interno al film: nasconde fatti rilevanti, modifica la storia, che viene vista tutta attraverso il suo punto di vista, inganna lo spettatore-ispettore passando per vittima anziché per carnefice. Muove le fila. Come ne’ La finestra sul cortile di Hitchcock lo spettatore vede solo quello che il protagonista/fotografo vuole fargli vedere. Quest’ultimo scagiona Verbal perché non lo vede sul luogo del delitto, ma sotto sotto sospetta di lui perché il regista dà troppi indizi durante l’arco narrativo.

Verbal è un attore: passa come lo sciocco, come lo zoppo, si fa interrogare e asseconda i sospetti dell’agente che lo sta interrogando sulla strage al porto inducendolo a credere che sia Keaton l’assassino. Ma, come detto sopra, il regista lascia in giro alcuni indizi: il primo, forse non il più rilevabile, è la dissolvenza, dove si passa dalla figura nascosta nell’ombra al porto (ma non lo vediamo) all’interrogatorio di Verbal al commissariato; il secondo è che, escluso Keaton, non ci sono altri personaggi rilevanti da sospettare e Keaton è troppo ovvio; il terzo è che nella seconda metà del film Verbal indovina, ascoltando solo poche parole, che i trafficanti di “droga” siano ungheresi; questo è decisamente un passo falso di McQuarrie, che così legittima i sospetti di uno spettatore attento e navigato.

I soliti sospetti

Il colpo di genio del premio oscar McQuarrie emerge negli ultimi dieci minuti di film: dopo essere stato rilasciato dalla polizia vediamo Klint uscire dal commissariato, in quel momento l’agente ha una illuminazione: guardando i vari dossier appesi al muro si rende conto che Verbal lo ha circuito e assecondato per tutto l’interrogatorio. Infatti, non solo Verbal si è inventato l’intera storia, ma ha usato anche la tazza di caffè che stava bevendo della marca Kobayashi come ispirazione per il nome del temuto braccio destro di Soze, oltretutto ha usato la stessa stanza, nella quale era stato convocato, a suo favore.

Il set-up di questo colpo di scena è racchiuso non solo nel fatto che Verbal sia interrogato in quella stanza, ma anche nel fatto che chiede più volte una tazza di caffè (il regista qui però è abile a non mostrarci la scritta “Kobayashi”) e la chiave di volta del caso è lì, nelle sue mani per quasi tutto il film. Solo i primi minuti del film, la morte di Keaton – mostrato in una posizione diversa rispetto a quella narrata nel racconto visivo montato da Soze – e tutta la sequenza fino all’inizio dell’interrogatorio sono reali e non ricostruiti dalla mente di Soze, tutto il resto è un focus soggettivo di una storia inventata.

In definitiva, I soliti sospetti è un film che rimedia il concetto di realtà in pieno stile nolaniano (Inception), inganna sia chi investiga dentro lo schermo che chi investiga fuori, rimodula gli avvenimenti mostrando un Verbal Klimt sempre messo in disparte durante la strage al porto, ed è così che il regista-sceneggiatore-personaggio si crea un alibi per non poter essere incriminato. Verbal Klimt esce “assolto” agli occhi dello spettatore, che ne riconosce la maestria e le doti da burattinaio e di prestidigitatore della storia e del montaggio di quest’ultima, ma il finale aperto lascia presagire che la sconfitta del bene potrebbe essere solo momentanea.    
 

Ti potrebbero piacere anche

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ho letto la privacy policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali ai sensi del Regolamento Europeo 2016/679 (GDPR) e del D.Lgs. n. 196 del 2003 cosi come novellato dal D.Lgs. n. 101/2018.