Emma, Jane Austen e la transmedialità

Emma

Jane Austen è tra le autrici ottocentesche più lette e con più ampio seguito nel mondo degli adattamenti cinematografici, dagli anni quaranta fino ai giorni nostri. A colpire, anche nelle prime messinscene classiche e in costume, è la rappresentazione moderna della donna. Le sue protagoniste, infatti, sono intraprendenti e, soprattutto, non credono nell’amore. Tale aspetto, le rende all’avanguardia sia rispetto alla loro epoca, sia rispetto al genere stesso della commedia romantica. Nella ricerca della propria autoaffermazione, ripudiano l’idea di incastrarsi dentro la vita matrimoniale, tanto ambita dalle donne a loro contemporanee e dalle protagoniste delle commedie classiche.

Jane Austen, con l’indipendenza e la brillantezza che dà alle sue eroine, anticipa uno stile postclassico, reso esplicito, tuttavia, solo recentemente dal nuovo adattamento di Emma (qui il trailer). Il presente articolo, dunque, si prefigge di approfondire l’interpretazione portata in scena da Eleanor Cotton (alla sua prima sceneggiatura) e Autumn de Wilde (fotografa e regista di videoclip, al suo primo lungometraggio). Tale approfondimento includerà prima una breve contestualizzazione, seguita dal confronto con il precedente film del 1996 e infine da un’analisi della regia nel contesto contemporaneo della transmedialità.

Contestualizzazione: la creazione di un nuovo modello femminile

Pubblicato nel 1815, Emma rappresenta un’evoluzione del pensiero della Austen rispetto ai precedenti Ragione e sentimento e Orgoglio e pregiudizio. In Ragione e sentimento, come anticipa lo stesso titolo, le protagoniste sono due sorelle: una estremamente razionale (moderna) e una caratterizzata da un’indole più romantica (classica). Con questo suo primo romanzo, del 1811, trasposto al cinema per la prima volta, dopo vari adattamenti televisivi, nel 1995 da Ang Lee, la scrittrice delinea un nuovo tipo di donna. Una donna a noi più contemporanea, pratica e capace di controllare i propri sentimenti. Questa nuova protagonista, qui ancora guidata in parte dall’amore, rappresenta comunque uno scarto rispetto all’emotività incontrollata dei personaggi femminili dell’epoca, destinati, secondo il finale stesso del romanzo, a soccombere in favore di una mediazione tra la ragione e il sentimento.

Nel 1813 con Orgoglio e pregiudizio si ha così un’evoluzione del tema del portante del precedente lavoro. La protagonista è una donna intelligente e, contrariamente al precedente personaggio della Austen, si mostra fin da subito restia a rinunciare alla propria indipendenza per l’amore. Sebbene presenti solo due adattamenti cinematografici (uno del 1940, che rappresenta la prima trasposizione assoluta delle opere della scrittrice britannica, e uno del 2005), questo è stato fonte d’ispirazione per numerosissime commedie romantiche da fine anni ottanta fino ai giorni nostri. La brillantezza del personaggio ha fatto sì che questo fosse il romanzo con maggiore successo cinematografico della Austen. Nel 1811 si ha quindi una donna che è dall’inizio ella stessa un compromesso tra una vena romantica e la propria presa di coscienza e indipendenza, mentre nel 1813 la protagonista elimina la propria parte più sentimentale e la mediazione arriva solo alla fine della storia. Nel 1815 la scrittrice decide di fare un ragionamento ulteriore.

Emma

Emma, differentemente dalle precedenti eroine della Austen, è il vero centro dell’opera. I pochi subplot, infatti, servono solamente a mostrare il carattere della stessa protagonista, nei suoi pregi e difetti. È descritta come «bella, brillante e ricca», ma anche senza freni («l’amabilità del suo carattere le aveva difficilmente permesso di imporle qualsiasi freno»). Dunque, in questo caso la scrittrice amplia il proprio discorso volendo mostrare come un’eccessiva sfrontatezza e sicurezza di sé siano qualità da limare nella costituzione di un nuovo modello femminile. Per sottolinearlo, la Austen alterna scene in cui la descrizione di Emma trova un riscontro positivo e di empatia con il lettore, a scene in cui le azioni e i pensieri della protagonista appaiono irritanti e infantili. Questo aspetto permette di intraprendere un maggiore lavoro di costruzione del personaggio e del suo cambiamento, che qui diventa più profondo rispetto a Ragione e sentimento e a Orgoglio e pregiudizio.

Tutto ciò viene affrontato in maniera opposta dall’adattamento del 1996 (premio Oscar per la migliore colonna sonora) di Doug McGrath con Gwyneth Paltrow (premio Oscar per Shakespeare in Love, Toni Collette (che ha recitato di recente in Hereditary – Le radici del male e in Cena con delitto) ed Ewan McGregor (protagonista di Trainspotting e interprete dei più recenti Doctor Sleep e Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn) e da quello recente di Eleanor Cotton e Autumn de Wilde, che mostra il suo primo scarto anche proprio nel casting, favorendo attori provenienti dalle serie tv (Anya Taylor-Joy per Peaky Blinders; Johnny Flynn per Lovesick; Gemma Whelan per il Trono di spade e Josh O’Connor per The Crown).

Dal 1996 al 2020: un cambio di sguardo

Il romanzo si apre con la descrizione della protagonista. Una ragazza sveglia, diventata padrona di casa «in un’età molto acerba», a causa della morte prematura della madre e del matrimonio della sorella. Questa descrizione è fin da subito affiancata all’introduzione dell’incidente scatenante: il matrimonio di Miss Taylor (governante di Emma, nonché sua migliore amica). Sebbene nel libro tale evento sia solo accennato, esso costituisce il crearsi dell’azione. Senza Miss Taylor, Emma non solo non ha più una confidente che possa in parte frenare i suoi impulsi, ma diventa a tutti gli effetti, nonostante la giovane età, la “donna di casa”, accrescendo così la propria mania di controllo e voglia di primeggiare. In entrambi gli adattamenti, in maniera più o meno fedele, si decide di dare maggiore spazio al momento del matrimonio, essendo, l’incidente scatenante, uno dei beats più importanti all’interno di un film.

Emma 1996

La versione del 1996 si apre con una rappresentazione quasi astratta di un mondo che ruota velocemente, mondo che poco dopo rappresenterà il regalo fatto da Emma a Miss Taylor per le nozze. La musica, quasi fiabesca, accompagna il tutto. Il titolo compare scritto in un corsivo elegante e a questo punto la camera si sofferma sull’Inghilterra, zoommando su Highbury (si parte dunque con un classico enstablishing shot), per poi rappresentare le famiglie che condiranno la storia che stiamo per vedere, o meglio che ci stanno per raccontare, come fa capire l’inizio della voce narrante. Questa, insieme alla colonna sonora e alle ambientazioni, per lo più esterne e oniriche, delineano un mondo fantastico di una classica fairy tale.

Aspetto, quest’ultimo, in totale accordo con l’intero romanzo della Austen, con cui trova un maggiore aggancio anche grazie ai momenti riflessivi che trovano il proprio disvelarsi non in escamotage visivi, ma tramite l’uso di un diario nel quale la protagonista annota i propri pensieri, resi noti a noi da un voice over. Anche l’introduzione dell’incidente scatenante, sebbene rappresenti un’aggiunta, si mantiene fedele al romanzo stesso, sia per la breve durata, sia per le battute che vengono dette in tale scena (trasposizione fedele di alcune frasi presenti all’interno dell’opera), ma anche per la sequenza successiva, ovvero la cena tra Emma e il padre, riportata fedelmente e che, esclusa la prima pagina di descrizione e contestualizzazione, apre il romanzo. Tutto ciò viene totalmente capovolto nella versione attuale.

Nel totale silenzio appaiono, con un carattere neutro e deciso, le frasi che aprono il romanzo stesso: «Emma Woodhouse, bella, brillante e ricca (…) aveva vissuto per quasi ventuno anni nel mondo con poco di cui angosciarsi o irritarsi». Già tramite quest’operazione si può notare come l’intera trasposizione non voglia adottare i fronzoli necessari alla rappresentazione di una commedia romantica, opponendosi così al suo predecessore, ma anche come voglia mantenersi fedele all’opera della Austen. Tale fedeltà, tuttavia, non si rifà agli stilemi classici, ma vede l’adattamento come una reinterpretazione che deve farsi strada all’interno dell’epoca in cui viene rappresentata. Per fare ciò, Eleanor Cotton decide di inventare numerose scene al fine di dare un nuovo messaggio.

Intanto, la narrazione si apre con una sequenza che mostra una Emma totalmente diversa da quella del 1996. Infatti, lì il personaggio interpretato da Gwyneth Paltrow, oltre a mostrare una coerenza in tutto il film, è una ragazza semplice, per la quale si prova subito empatia. Qui, invece, Anya Taylor-Joy, nei movimenti esplicitamente freddi e nel modo in cui mostra la propria superiorità, suscita fin da subito irritazione e avversione. Questo dato, sottolineato abilmente dalla regia e dalla scenografia, è d’altronde figlio della nostra epoca. Infatti, tutto ciò che Emma rappresenta all’inizio della storia non può trovare un riscontro nella modernità. Ciò si avverte già nella lettura stessa del romanzo e qui viene sottolineato tramite diversi stratagemmi, che fanno sì che si provi empatia per Emma solo in alcuni momenti contemplativi precedenti il midpoint, nella “dark night of the soul” (il momento in cui l’eroe contemporaneo si ritrova ad affrontare i propri demoni e ad abbracciare una nuova consapevolezza di sé) e nel finale, che tra l’altro prevede anche un cambio significativo di sguardo.

Emma

Lo sguardo è di sicuro un elemento centrale in un film e, in questo caso, rappresenta di sicuro uno degli elementi che più distanzia i due adattamenti. Nella prima versione, il nostro sguardo è collegato a quello della protagonista per la quale proviamo empatia. Gli esterni idilliaci sono giustificati dal fatto che il regista vuole farci vedere Highbury nello stesso modo in cui lo vede Emma e farci sognare di poter essere lì. Autumn de Wilde scardina tutto ciò. L’intero film mostra apertamente i suoi meccanismi già nella divisione in capitoli, che riportano allo stile fotografico attuato da Stiegliz per fotografare Fontana, il celebre ready-made di Duchamp. A questo va aggiunta una regia totalmente pop, che si basa sugli eccessi a livello scenografico, di direzione degli attori, di montaggio e di utilizzo della musica, che ci conduce, eccetto i pochi momenti di pausa, in una visione frenetica, la stessa di un videoclip.

Tutto questo aumenta il distanziamento dalla protagonista e dal suo mondo, ma un film, per sua natura, dovrà sempre trovare un punto di vista, che qui, dunque, non è affidato alla protagonista femminile, ma alla sua controparte maschile Mr. Knightley, fin da subito descritto come diverso dagli altri. Se nella versione del 1996, egli è introdotto dopo la cena tra Emma e il padre, quando entra nella residenza dei Woodhouse, in questo caso invece gli è dedicata una sequenza a sé stante, che va a sostituire la reale scena d’apertura del romanzo. Infatti, dovendo lo spettatore trovare anche un minimo elemento di empatia nei primi dieci minuti del film (quello che Snyder definisce il “save the cat”), Eleonor Cotton decide di modificare l’inizio, introducendo più largamente un personaggio a cui il pubblico si possa agganciare.

Da questo momento tutto ci viene mostrato con gli occhi di Mr. Knightley: dall’eccesso di pomposità dato dai mille pasticcini color pastello, alla bellezza di Emma nei momenti in cui, fuori dai riflettori, mostra la sua vera natura e dunque la propria grazia. Tutto ciò fino al frame finale, che mostrandoci un primo piano molto ravvicinato di Emma, coperto da un velo bianco, con gli occhi chiusi e un sorriso pacifico e naturale, ci permette dopo un’attenta costruzione per tutto il film, di ritrovarci nella protagonista. Questo perché la sceneggiatura, la regia e l’interpretazione di Anya Taylor-Joy pongono l’accento sul cambiamento che Emma ha rispetto all’inizio del film, facendola sprofondare nei suoi difetti, fino alla scena del picnic che rappresenta il climax. Solo dopo quest’ultimo, nel pentimento visibile in Emma e nel suo smettere di architettare piani che le permettano di mantenere un apparente controllo, lo spettatore può intraprendere un percorso di empatia nei confronti della protagonista.

Emma

La regia nell’epoca delle immagini in continuo spostamento

Autumn de Wilde, provenendo dal mondo della fotografia e del videoclip, decide di adottare uno stile che enfatizzi l’ambiente sociale contemporaneo in cui, quest’opera classica, viene riprodotta. A partire nel modo in cui dirige gli attori, crea continue gag o situazioni che ricordano non un’opera cinematografica, ma teatrale. Questo escamotage, che serve a sottolineare quanto il mondo del romanzo sia totalmente distante dal nostro, mostra anche una profonda cultura cinematografica.

Questo tipo di recitazione sopra le righe, unita a una scenografia pop, eccessiva e fatta di colori pastello, e a una regia fluida, ma anche ritmata e frenetica, traduce l’atmosfera mediale che circonda costantemente il pubblico (dalle foto di Instagram, ai videoclip musicali, agli stessi frame di film, videogiochi ecc.), che viene amplificata dai numerosi richiami ad altri film. Il più evidente è quello a Sofia Coppola e al suo Marie Antoinette: la sfarzosità, il continuo rimando a cibi appariscenti, come torte e pasticcini, i colori delicatamente pastello. Questi ultimi, uniti alle inquadrature fluide e larghe e ai continui intermezzi, d’altro canto, rimandano invece a Wes Anderson, con il quale, inoltre, sebbene non condivida la ricerca estrema della simmetria, ha in comune uno stile ironico e creativo, che conducono verso un’enfatizzazione della messinscena, che appare palesemente architettata.

In una delle scene iniziali di Emma, senza mai staccare, i personaggi “danzano” davanti la macchina da presa, in una pura coreografia visiva. Ciò evidenzia l’impostazione teatrale dell’intera opera, meccanismo che de Wilde prende in prestito, anche se usandolo meno marcatamente e diegeticamente, da Anna Karenina di Joe Wright, non a caso regista di Orgoglio e pregiudizio (il più noto adattamento dei romanzi della Austen). L’omaggio al regista si ha anche nella scelta di alcune inquadrature, che richiamano apertamente quelle del suo film. Un esempio è la sequenza delle statue, molto simile a quella presente nella pellicola di Wright, verso il quale, nella scelta di un’angolatura dall’alto, mostra pieno rispetto e ammirazione. La scelta di questa angolatura serve a mettere Emma in una posizione di estasi e inferiorità rispetto all’arte classica, dando un preciso messaggio in un’epoca dove tutto è diventato arte.

Emma del 2020 è un film di approfondimento sulla contemporaneità dei romanzi ottocenteschi, sulla figura della donna, su come possa sopravvivere la commedia romantica e infine sul ruolo stesso del cinema e dell’arte. Il cinema è visto da Autumn de Wilde come un pastiche. La regia, dunque, proprio in quest’epoca transmediale e di bombardamento a tappeto di continue immagini, che si muovono da un media all’altro, deve accentuare i meccanismi della propria natura, in coreografie di battute ritmate e di colori accesi. In un’opera ormai totalmente contaminata.

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